Il precedente "You Gotta Go There To Come Back" non aveva fatto certo fare salti di gioia ai numerosi fan del gruppo gallese capitanato da Kelly Jones, nonostante fosse titolare della più grande hit prodotta dalla band ("Maybe Tomorrow", capace di superare persino il coretto-furbetto della vecchia "Have A Nice Day"). E' naturale, quindi, che Jones abbia voluto dare una svolta al percorso artistico della band, ormai contaminato pesantemente da sonorità ora acustiche (con una forte tendenza verso influenze a stelle e strisce, come nel caso di "Just Enough Education To Perform), ora addirittura venate di blues ("You Gotta...", appunto).
Svolta che, però, non guarda avanti, ma palesemente indietro. Il che potrebbe anche non guastare, ma i ‘phonics sembravano aver già dato il meglio nel campo con la strepitosa doppietta "Word Gets Around"/"Performance And Cocktails". Il senso di questo "Language...", quindi? Proviamo a dargliene uno.
Il dischetto parte benino, con una sufficientemente minacciosa "Superman" ("Superman on an aeroplane/sitting next to Lois Lane/you got that woman but you want her gone/so you can sleep with a teenage blonde", il significato è piuttosto chiaro) e prosegue con la chitarristica "Doorman". Da qui iniziano i capitomboli, che vanno da un insipida "Brother" ad una completamente inutile "Lolita" (forse la canzone più brutta dei ‘phonics in assoluto), passando per una "Pedalpusher" che propone un sound piacevolmente "sporco" ma non incide a livello melodico. Bellissime invece la smash-hit del disco, "Dakota", e "Devil" (immaginate "The Fly" di Bono e soci con un ritornello aggressivo ed urlato), oltre a "Rewind", che con i suoi rimandi agli U2 (e un Javier Weyler -il nuovo batterista- che si fa finalmente sentire) rimane alla fine il miglior numero del lavoro, anche se decisamente derivativo. Da segnalare anche la bella "Deadhead" (uno sballo dal vivo, da sentire la versione presente su "Live From Dakota" del 2006), già presente come b-side del singolo "Maybe Tomorrow" in versione demo e con un titolo diverso ("Royal Flush", per l'esattezza). Chiude l'intensa "Feel", che però non ruba più di tanto l'occhio (anzi, l'orecchio).
E' un lavoro discontinuo, questo "L.S.V.O?", che vive in perenne equilibrio tra grandi pezzi e canzoni mediocri o, ad essere buoni, passabili. Un disco comunque sufficiente, che ribadisce come gli Stereophonics siano fra i migliori costruttori di melodie della scena anglofona.
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