Il "bentornato" bisogna meritarselo. E c'è da dire che gli Stereophonics di Kelly Jones stavolta se lo meritano, in maniera piena e convinta.
"Pull The Pin", seguito di "Language. Sex. Violence. Other?", è un gran bell'album, che mette ben volentieri in mostra le varie anime della band gallese, arricchisce il sound generale (invero piuttosto appiattito nel precedente lavoro) e aggiunge qualche nuova influenza nel tessuto connettivo del gruppo (cosa che non guasta mai).
Il nuovo disco arriva dopo un album live e dopo il primo "divertissement" solista di Kelly Jones; di quest'ultimo troviamo traccia solo in "Bright Red Star", che segue la via acustica ed intimista del solo album del buon Kelly. Per il resto, come da tradizione ormai consolidata, si parte con un brano dal riff sporco e deciso come "Soldiers Make Good Targets", che può essere erede di alcune delle opener dei vecchi dischi, come "Vegas Two Times" o "Help Me (She's Out Of Her Mind)". Si prosegue con "Pass The Buck", brano super orecchiabile in cui Jones infila il classico coretto ("pa-pa-pa/pa-pa-pa/pa-pa-pappa") alla ‘phonics per poi urlare a squarciagola in un ritornello che dire radiofonico è dire poco.
Seguono i due singoli: il nuovo, "It Means Nothing", una sorta di nuova "Maybe Tomorrow", diventerà probabilmente l'ennesima hit del gruppo. E' una ballata languida, in cui l'inconfondibile voce di Kelly la fa da padrona per poi esplodere, come consuetudine, in un finale urlato, emozionante e viscerale. E' stata scritta subito dopo gli attacchi alla metro londinese, e si sente. L'altro singolo, "Bank Holiday Monday", è un rock ‘n roll secco e tirato di tre minuti e spiccioli, gradevole e diretto.
L'anima pacata dell'album arriva nella parte centrale del disco; "Daisy Lane" è una chicca pop molto semplice e piacevole, dotata dell'ennesimo coretto e costruita su un semplice arpeggio di chitarra e una batteria elettronica affatto invadente. "Stone", invece, risente molto del rock evocativo dei Coldplay, e stavolta la carica emozionale si libera tutta nel bellissimo refrain. Non a caso, inizialmente il pezzo era schedulato come secondo singolo. Le chitarre elettriche tornano a farsi vive nelle successive "My Friends" e "I Could Lose Ya", per poi essere accantonate nella succitata "Bright Red Star". In "Lady Luck" i Coldplay (stavolta quelli di "Politik") tornano ad essere molto di più di una presenza ectoplasmatica, così come "Crush" potrebbe essere uscita benissimo dalle sessions di "Word Gets Around". "Drowning" chiude su tonalità roccheggianti, per poi spegnersi lentamente nel finale.
Certo nessuno grida al miracolo, ma gli Stereophonics, dopo dieci anni suonati di carriera, riescono ancora a sfornare dischi molto validi e gradevoli. E tant'è.
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