Mi trovo a scrivere una questa recensione per un semplice motivo: ho amato gli Stereophonics fin dai tempi di "Word Gets Around" passando per la perfezione di "performance & Cocktails", sognando sulle note di "Just Enough Education To Perform", lasciandomi trasportare dalle sfumature Country di "You Gotta Go There To Come Back" fino ad arrivare a "Language, Sex, Violence, Other?", album che ho amato e odiato, alternandosi grandi spunti e pezzi molto meno riusciti.

Comincio quindi ad ascoltare questo "Pull The Pin" con un pò di amaro in bocca, sensazione che subito si affievolisce leggermente, ma non troppo, con "Soldiers Make Good Targets", classico pezzo con cui i gallesi sono soliti aprire i loro album, attacco aggressivo, distorsioni, giro di chitarra più sporco e aggressivo che mai e la voce di Kelly a dirigere i giochi. Pur riallacciandosi molto al precedente lavoro in questo pezzo comincia a delinearsi qualche piccola novità soprattutto riguardanti il lavoro fatto per le chitarre, un gran bell'assolo al minuto 3.20 i cui si nota una maggiore collaborazione tra Kelly e l'altro chitarrista, ormai parte quasi integrante del gruppo, Adam Zindani. La seconda traccia è quella che mi ha fatto sobbalzare, quella che mi ha dato la conferma che il trio è tornato, regalandoci un pezzo che in sede live spaccherà il culo a molti, "Pass The Buck". Canzone semplicissima dal punto di vista tecnico (il giro di chitarra portante è A5 D5 G5 C5 A5) ma che contiene una carica davvero esplosiva soprattutto nel finale quando l'urlo di Kelly (l'ombra degli Oasis è vicina) ci travolge con una potenza degna di nota. Si prosegue con la ballatona "It Means Nothing" dove non troviamo nulla di nuovo, ma non per questo non dobbiamo non farci cullare da quella voce calda e avvolgente capace ancora di trasmettere emozioni. Si arriva così a "Bank Holiday Monday", primo singolo estatto, di cui tanto si è già parlato. Buon pezzo rock, nulla di più, soprattutto in relazione a quello che ci aspetta.

"Daisy Lane", semplicemente capolavoro, canzone che riesce a regalare cascate di emozioni, intima, avvolgente, delicata, anche troppo quando sfocia in un paparapara papapa apparentemente senza senso ma di una bellezza sconvolgente. Ci si ritrova così nel cuore dell'album sorretto perfettamente da Stone, con un ritornello molto orecchiabile e bello ma non per questo banale anzi, quasi epico, da "My Friends", molto particolare, con sonorità molto rockeggianti e una voce stranamente fredda (per quanto lo possa essere quella di Mr. Jones), e da "I Could Loose Ya", anche questo gran bel pezzo rock senza fronzoli. Saltando "Bright Red Star", pezzo neanche brutto di sola voce e chitarra, che sarebbe stato adattissimo al progetto solista del frontman, e non riesco a capire cosa c'entri qui, si arrivo al trio finale, "Lady Luck", "Crush" e "Drowning". Il primo è davvero un bel pezzo che come genere riallaccerei a Stone, molto profondo, quasi un urlo di disperazione nel ritornello accompagnato da un riff di chitarra che ne esalta lo strazio. La seconda è una classica canzone rock (sembra una seconda Pass The Buck) che sfocia in un ritornello più che apprezzabile. Si concludono i giochi con "Drowning" che chiude degnamente l'album.

In conclusione non posso che elogiare questo lavoro che non presenta nel suo complesso cali degni di nota, ma riesce, d'altra parte, a regalarci momenti di grande musica che gli Stereophonics riescono a condire con una classe che li ha sempre distinti.

E l'amarezza si è completamente dissolta...

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