Il ritorno al prog di Steve Hackett dopo "Tribute", disco di pezzi per sola chitarra classica, è un ritorno col botto. Questo "Out of the tunnel's mouth" conferma ancora una volta come l'ex chitarrista dei Genesis sia uno dei musicisti più creativi e versatili in circolazione, uno in grado di mantenere sempre uno standard di qualità estremamente alto in ogni suo lavoro.

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Come tutti i suoi lavori da solista, anche questo richiede più di un ascolto per essere metabolizzato a dovere, essendo molta la carne messa al fuoco dal nostro, che dà libero sfogo alla propria creatività senza porsi limiti di nessuna sorta, spaziando con disinvoltura da momenti acustici ad altri più aggressivi, da sonorità dal sapore orientaleggiante a momenti in cui lascia che sia la sua chitarra a deliziare le orecchie di chi ascolta. Si trovano veramente tanti spunti in un disco del genere.

La forza di Steve Hackett a mio avviso è quella di pensare prima come compositore che come chitarrista, senza cercare a tutti i costi di mettere in mostra le proprie qualità strumentali, ma piuttosto privilegiando il lato espressivo dello strumento, cercando sempre di trasmettere qualcosa a chi ascolta. Oltre a questo mi piace sottolineare come col passare del tempo abbia anche saputo migliorarsi dal punto di vista vocale, l'impressione in particolare è quella che abbia capito come utilizzare al meglio la voce nelle proprie composizioni.

La qualità del disco è molto elevata, difficilmente si incontrano momenti di calo e fra le otto tracce proposte spiccano l'opener "Fire On The Moon", che personalmente ritengo uno dei pezzi più belli mai scritti da Hackett, in cui ad una strofa scandita dalle note della tastiera di Roger King, che richiamano il suono di un carillion, fa da contraltare un coro solenne, il tutto incorniciato da un paio di assoli di chitarra da brivido, la successiva "Nomads", caratterizzata da una chitarra classica che richiama certe sonorità vicine al flamenco e che sfocia in un finale in cui è di nuovo la chitarra di Steve a prendere le redini, e "Sleepers", ancora prevalentemente acustica, ma che nella sezione centrale si fa più aggressiva e sperimentale.

In definitiva stiamo parlando di un disco molto valido, ma d'altronde chi conosce Hackett sa di potersi sempre aspettare musica di qualità da lui, uno che dopo i fasti dei Genesis ha preferito privilegiare un percorso artistico dedicato alla sperimentazione, nonostante ciò gli potesse precludere un pubblico più vasto.

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