Recensire è un po' come mentire... nel senso che se l'artista è uno di quelli per cui stravedi, l'essere troppo magnanimo è sempre dietro l'angolo, e quindi la menzogna anche se del tutto in buona fede è sempre in agguato pure lei. Ma che vi devo dire? Musicalmente sono follemente innamorato di Hackett per una miriade di motivi che vi risparmiero' impiegando il medesimo tempo a parlare invece di 'Spectral Mornings'.
Sono ormai passati 4 anni dall'uscita del primo album solista di Steve (Voyage of the Acolyte) e due dall'uscita del grande chitarrista dalla line-up dei Genesis. Il primo album risentiva in modo massiccio dell'influenza Genesisiana al punto che molti critici dell'epoca, ritennero "Voyage" il migliore disco del gruppo di Gabriel & co. (ovviamente tale affermazione grondava ironia da tutte le penne....). Per chi scrive invece quello fu un disco straordinario di rara bellezza. Il successivo 'Please don't touch', del 1978, era invece una commistione di generi diversi che giungevano addirittura al soul in alcuni momenti (la presenza di Randy Crawford e Ritchie Heavens in tal senso la dice lunga) e insieme a momenti un po' piatti presentava anche bellissime songs. Nel 1979 Hackett riesce a mettere insieme un suo proprio gruppo e con questo incide 'Spectral Mornings' e gira in lungo e in largo il pianeta in tour raggiungendo un successo davvero notevole.
La canzone che apre l'album è uno dei pezzi più celebri della produzione Hackettiana e uno dei bis ai suoi concerti ancora oggi. Si intitola "Everyday" ed è una lunga canzone in cui l'introduzione di tastiere su ritmo sincopato apre dando vita quasi subito a un brano orecchiabile ma non banale. La parte cantata si sostiene molto bene più che altro per il tappeto musicale che sta sotto di essa, dove un buon drumming di John Shearer (batterista un po' elementare ma misurato) e il basso di Dick Cadbury danno vita a un buon ritmo abbastanza sostenuto. Lungo finale con "svisate" di Hackett alla sua LesPaul (ancora non usava l'odierna Fernandes), veloci e sottili come lame.
La successiva "The Gipsy" è una lenta ballata acustica cantata a più voci con inserti di chitarra elettrica "tipicamente" Hackett con sustain in bella evidenza. Si passa poi a un brano che già in quel periodo mostrava come la musica orientale interessava non poco Steve Hackett (passione che mostrerà in modo più massiccio in futuro come ad esempio nell'ultimo, meraviglioso Wild Orchids col brano Waters of the Wild). Si intitola "The red flowers of Tachai Blooms" e vede il nostro eroe impegnato al sitar elettrico in un brano strumentale dal sapore fortemente Cinese-Indiano. Le tastiere di Nick Magnus compongono un bellissimo substrato musicale ad accompagnare il tutto. Dalle atmosfere rarefatte e sognanti del pezzo di cui sopra, si passa a uno dei momenti più alti del disco rappresentato dall'ossessiva e un po' paranoica "Clocks", pezzo dalla struttura semplice ma dall'arrangiamento azzeccato con un Taurus Moog in bella evidenza suonato da Dick Cadbury. Ritmo ossessivo e drumming abbastanza duro con la linea melodica che dopo due strofe in cui le note si ripetono, dà spazio a una variante che precede un assolo di batteria finale.
"The Ballad of the Decomposing Man" giunge dopo "Clocks" e ci lascia sorpresi in quanto si tratta di un calypso con percussioni in risalto e dal cantato stile anni 30 dal testo ironico e amaro nel contempo, quasi un divertissment.... ma che classe! Le atmosfere si fanno di colpo solenni con l'introduzione del pezzo successivo (Lost time in Cordoba) e qui siamo di fronte al capolavoro assoluto. Una chitarra acustica suonata con effetto "lontananza" e il flauto del fratello di Steve (John), sembrano dare inizio a qualcosa di etereo, quasi sognante; invece di li' a poco si scatena uno dei brani più cupi e espressivi che Hackett abbia mai composto. Svisata improvvisa di elettrica velocissima e ingresso del gruppo con un boato che spacca il petto (da ascoltare al massimo del volume). Magniloquente nel miglior senso possibile del termine, con un ritmo lento e marcato fortemente dalla batteria quasi ossessiva. Intermezzo con tastiere che simulano bombardamenti aerei e la chitarra che riproduce il suono di mitragliatrici in sottofondo. Questo è un pezzo da brivido, talmente descrittivo che ogni altro commento diventa superfluo.
Dopo "Lost Time in Cordoba" si arriva a "Tigermoth", pezzo semiacustico con Magnus che "imita" la fisarmonica al sintetizzatore e la voce di Hackett che canta di nuovo in stile un po' demode' a sottolineare con ironia il testo che parla di un capitano dell'esercito di Sua maestà impegnato nella campagna d'Italia durante la seconda guerra mondiale. Splendido finale con arpeggi di acustica e tastiera che sembra un glockenspiel.
Signori, tutti questi brani mentre si ascoltano, danno la sensazione che siano come un preparativo a qualcosa che vi farà esplodere l'emozione, a qualcosa che di li' a poco creerà scompiglio nei vostri sentimenti..... ed è il pezzo che chiude il disco: si intitola "Spectral Mornings" e se siete come me di quelli che si emozionano quasi fino a piangere ascoltando i brani più sognanti che il prog possa offire, oplà.... ci siamo. Inizio di tastiere che creano un tappeto musicale che sembra addirittura "soffice" come una nuvola col flauto di John Hackett a riempire. Piccolo intermezzo di elettrica e poi: Bam, di nuovo l'esplosione che vi centra dritta al petto. Linea melodica sognante e sustain al massimo. Il brano è strumentale e abbastanza lungo e cosi' accattivante (laddove accattivante non sta per orecchiabile nel senso più deteriore del termine), che vi rimarrà nelle orecchie per ore e ore anche dopo. Classico prog allo stato puro.
Ascoltando questo album, si capisce perfettamente perchè i Genesis dopo la defezione di Steve siano praticamente morti (musicalmente). Perchè loro avevano i propri conti in banca da rinsanguare, Steve aveva l'amore per la musica e la sua carriera è li' a dimostrarcelo ancora oggi. La carriera solista di Hackett è per certi versi molto più importante di quella dei Genesis perchè loro hanno fatto grande musica per 7 anni, Lui no: Lui non ha mai smesso.
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