Ballate Glam ridotte all'osso
ovvero un concerto acustico del semisconosciuto Steve Harley
Nel 1998 Steve Harley rispolvera la sua chitarra... aspettate, andiamo con calma. Innanzitutto qualcuno si chiederà chi è Steve Harley. Steve Harley è un eclettico artista che nel 1973 con i suoi Cocney Rebel è salito sul carrozzone buffonesco del glam e poco dopo ha raggiunto il successo unicamente grazie alla hit radiofonica "Make Me Smile". Purtroppo è stato presto dimenticato, e dico purtroppo perché le sue capacità si spingono ben oltre la canzone da classifica, arrivano a regalarci lunghe suite sinfoniche come "Sebastian" e "Tumbling Down" oppure accattivanti perle come "Judy Teen", musiche di ispirazione circense (la clownesca "Mr. Soft") o ballate romantiche lontane da qualsiasi scontato cliché (su tutte "The Best Years Of Our Lives"). I suoi primi tre album sono considerati capolavori nel loro genere, ma poco prima degli anni '80 il cantante ha ceduto ad una new romantic poco incisiva e nonostante alcune splendide canzoni come "Star For A Week" o "(Love) Compared With You" presto è caduto nel dimenticatoio dei "mancati geni", mentre David Bowie e Bryan Ferry continuavano a cavalcare le classifiche con l'unico merito di aver saputo vendersi bene.
Steve Harley ha avuto la colpa di annacquare il suo stile e di non essersi saputo rinnovare né vendersi bene, ma chi siamo noi per tenergli il broncio per 20 anni e non cedere alla poesia di questo album? Ora siamo nel 1998, probabilmente ci troviamo in qualche teatro minore di Londra, la stessa Londra che tanti anni prima aveva voltato le spalle al glam troppo presto per lasciarsi bruciare dall'iconoclastia del punk. Sul palco c'è un uomo ormai sulla via dei capelli bianchi, accompagnato solo dalla sua fidata chitarra acustica, dall'armonica e dal violino, un uomo che senza trucco e senza inganno ci vuole disegnare con pochi cenni di matita un abbozzo del suo sogno dove un raffinato folk-glam incontra Bob Dylan. Ci racconta le sue storie con semplicità, dove una volta camminavano bande da circo e orchestre ora striscia la sua voce ruvida e la sua chitarra nervosa. Il concerto inizia con una energica "My Only Vice", e subito ci rendiamo conto di non rimpiangere per nulla il suo passato: il modo in cui ripropone le vecchie hit è essenziale senza alcuna pretenziosità e soprattutto senza quell'antipatico modo di fare "sono più saggio e ho diritto ad essere un lagnoso acustico". "Judy Teen", "Mr. Soft" e "Bed In The Corner" suonano ancora allegre e per niente invecchiate; "Star For A Week", "The Best Years Of Our Lives" e "(Love) Compared With You" in questa nuova veste rallentata sembrano ancora più struggenti. L'armonica impreziosisce "Tumbling Down" e "The Last Time I Saw You", e mentre la cassica "Sebastian" viene conservata abbastanza simile all'originale, la circense "Mr. Soft" si presenta isterica e agitata. "Only You" è una fiamma di candela che si muove veloce al ritmo del vento estivo e "Sling It" non perde lo smalto dell'antica tempesta. Completano questo quadro (chiamarlo unplugged è riduttivo) la colta "Riding The Waves" e una versione abbreviata e ironica di "Make Me Smile".
Chi siamo noi per non perdonare questo artista londinese quando, con una manciata di strumenti e alcuni brani di 30 anni fa, con poche pennellate di chitarra e il coraggio tipico di chi viene dimenticato troppo presto, riesce a farci emozionare e ricordare senza nostalgia?
Da "Riding The Waves (For Virginia Woolf)""Then she whispered, "Look, the honey-coloured ball
Is lifting its way into another morning"
Then she flicked the back of her neck, defiantly,
And for such gestures one could fall
Hopessly in love
For a lifetime
The sun has risen now
And set the fibres burning
We got the feeling of riding the waves"
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