Non di tutte le band e non di tutti gli artisti si può dire che abbiano generato l’aggettivo derivante dal loro nome. Come per crimsoniano, zappiano o zeppeliniano, anche quando si dice marillioniano si può immediatamente capire di quel che si parla, specie se il riferimento è alla seconda parte della carriera del gruppo inglese e quindi all’era Hogarth.
E’ qui che nasce questo lavoro, perché la radice del tutto si può far partire dal 2001, anno in cui i Porcupine Tree fanno un mega tour come spalla dei Marillion. Così Richard Barbieri, già con i mitici Japan di David Sylvian e allora tastierista dei Porcospini, conosce Steve Hogarth voce e compositore principale dei Marillion seconda fase.
Inquadrati i due protagonisti come due tra le menti più moderne e raffinate della musica inglese del dopo 1990 possiamo affrontare questo lavoro ponendoci in maniera quantomeno rispettosa e riverente verso un prodotto, forse poco atteso e sbandierato, ma che già dal primo ascolto pone ferme le basi per una riuscita seria e duratura.
"Not The Weapon But The Hand" è costruito in maniera impeccabile, suoni moderni e pure familiari si intrecciano grazie anche alla professionalità di personaggi del calibro di Dave Gregory (ex XTC) che qui si occupa di chitarre, basso e di tutti gli arrangiamenti orchestrali, poi Danny Thompson al basso (storico dei Pentangle, ma anche con Gabriel, Kate Bush, Talk Talk … ecc.) e ancora Arran Ahmun (della band di John Martyn) e Cris Maitland (già con i Porcospini anche lui) che si avvicendano alla batteria.
Quel che si sente nel disco è un misto di atmosfere ambient, riferimenti all’elettronica, alla new wave, al pop di classe, qualcosa rimanda ai Marillion di ultimissima generazione, o almeno da “Brave” in poi, ovviamente ai Porcupine Tree e ai Talk Talk del periodo di “Spirit Of Eden”. Tutto in questo disco scorre lento, appassionato, ricco anche nei momenti più intimistici e dove il sussurro della voce si miscela a poche note di synth o a qualche minimale soundscape.
Su tutto domina la forma della canzone pop di larga fattura e confezione e, benché il lavoro si ponga parecchio distante dalle forme progressive più canoniche, ritengo che alla base una struttura progressive esista. Ma a vincere sono la modernità e una scrittura nuova e inedita di temi forse noti, ma splendidamente raccontati. Qualcosa riporta alle cose più eleganti e raffinate di Roxy Music e del loro leader Bryan Ferry, qualcosa è gabrielliano, tanto è comunque dei due autori, che sbancano in personalità e savoir faire.
Già dall’opener “Red Kite” l’atmosfera e i temi si fanno stimolanti e si impongono per serietà e impegno. I testi, spesso molto complessi e personali, accompagnano bene le atmosfere e la grandissima duttilità di Hogarth è mamma dell’infinita melodia che permea il lavoro intero, ne è chiaro esempio la bellissima "A Cat With Seven Souls", ma anche le particolari trame di “Your Beautiful Face” accompagnano l’ascolto sviluppando un piacere molto alto, in un rondò di grande raffinatezza stilistica. Voci filtrate, ricche di effetti elettronici e suoni provenienti dal folk di un futuro chissà quanto prossimo accompagnano il disco sul finale, con la ipnotica “Lifting The Lid” e con la breve title track: non uccide l’arma, ma la mano che la guida. Disco imprescindibile per capire dove andrà la musica seria del futuro.
p.a.p. Sioulette
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