Dopo che nel 1974, con il tastierista svizzero Patrick Moraz, già parte dei Refugee (cioè i The Nice orfani di Emerson), gli Yes pubblicano l'ultimo capitolo del periodo d'oro ("Relayer"), nel 1975 il grande Steve Howe si concede un album tutto da solo, il suo primo: "Beginnings", inizi, appunto.
Molto di quest'opera, dalla copertina di Roger Dean, alle musiche, sembra ricordare un album degli Yes. E' naturale, ci mancherebbe che non fosse così. D'altro canto vi sono degli elementi di novità, lati -in positivo e in negativo- che del vecchio Steve non emergevano quando fiancheggiato da Anderson, Bruford, Squire e Wakeman. Ciò che emerge particolarmente di questo lavoro è la grande ispirazione compositiva che ancora muove il chitarrista al giro di boa della decade -e che lo guiderà ancora fino agli Asia-, l'estrema varietà di ciò che compone, il suo limite dal punto di vista vocale.
L'eclettismo del simpatico musicista si mette in luce nella variegatezza di generi che propone nei brani di questo lavoro, che si traduce in primis in una vasta gamma di chitarre e strumenti (a corda e non: chitarra, basso, mandolino, steel guitar, pedal steel, organo, clavicembalo, Minimoog) suonati da lui, ed in secundis in un nutrito numero di musicisti che collaborano alla realizzazione (tra cui gli stessi Moraz, Bruford e White) che comprende anche fiati ed archi di vario tipo.
E quindi, si diceva, emergono le varie anime di Steve Howe: quella prog e pop sinfonico di brani come "Australia" o "Doors of Sleep", quella alla "The Clap" in "Ram", quella lievemente folk di "Will O'The Wisp" o "Pleasure Stole The Night" e quella classica dell'impressionante suite "Beginnings", un brano di musica classica vera, "BaRock", insomma. Parti complicate, tecnicamente impegnative, sapienti armonie.
Lascia leggermente a desiderare la sua vocalità, non stonata, ma con un timbro poco interessante e forse inesperto, più adatto ai coretti con Jon Anderson e Chris Squire che a parti soliste.
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