Sarebbe piaciuta a Pitagora, questa musica tutta angoli retti ed acuti, aree riempite di colori vibranti dai sassofoni e inversioni repentine di direzione segnalate dai colpi dei piatti. È un gioioso rumore che si leva, dal palco dell'Aula Magna dell'università di Roma, a celebrare l'equinozio di primavera, l'inizio di una nuova stagione su questo pianeta che non ne vedrà ancora molte. Ah, la Terra. E se la legge universale di causa ed effetto si applicasse anche alla Terra? Se il pianeta stesse, mettiamo il caso, segnalando che la sua pazienza è agli sgoccioli?
Sentite: facciamo finta di non aver capito e facciamo festa per la primavera che è arrivata, ok? Rinasce la natura: chi meglio di Martland per energizzarci? Invitiamo Martland e il suo manipolo di una decina di disciplinatissimi esecutori, quel pugno di uomini dal cuor di leone capace di avventurarsi, brano dopo brano, in territori musicali inesplorati. Musica pop non è, poco importa che un pezzo sia basato su una melodia popolare inglese del XVIII secolo. Musica d'avanguardia nemmeno: tutto è altamente strutturato e se una ricerca si sta facendo, riguarda solo gli impasti sonori. Musica classica? Sì, c'è un piano, un violino, ci sono i fiati, ma c'è anche un basso e una chitarra elettrica, una batteria e una marimba. A quest'ultima è concesso addirittura un assolo, anzi, due. È un ibrido, la musica di Martland, di sesso maschile.
Organizzata, incisiva, strutturata, complessa, punteggiata dai staccato, da continui scoppi di autoaffermazione. E, come in tutti i maschi, al di là della bandanza (Martland dirige con marziali moti delle braccia e inconsapevoli, irrefrenabili saltelli), il lato vulnerabile è sempre scoperto: i fiati intessono una trama accesa di richieste, esternano pressanti esigenze, impartono l'ordine di essere ascoltati, riconosciuti, considerati.
Martland ha lavorato per il teatro, per il cinema, per il balletto, ma il piglio e il polso della sua musica non si sono piegati alle idiosincrasie di alcuna forma di spettacolo.
È un ibrido, questa musica, di tante forme musicali che conosciamo che, tutte insieme, hanno deciso di obbedire solo all'imperativo del ritmo, in un affiatamento mirabile. Anche le pause vengono integrate in questa nuova teoria degli insiemi. Ecco, facciamo conto che questo cerchio sia Steve Reich e quest'altro i Joy Division. L'area in cui si sovrappongono è Steve Martland. Oppure… prendiamo Philip Glass e infliggiamogli la sezione di fiati di un disco soul: il risultato è Steve Martland. E anche… immaginiamo la colonna sonora di un cartone animato dove il gatto sistema il canarino, il cane sistema il gatto, il padrone sistema il cane e un vaso di fiori dall'ultimo piano sistema il padrone, tutto contemporaneamente.
La Steve Martland Band è la banda militare più affiatata del mondo che avanza mentre, colpite dalle sue folgorazioni intellettuali, le navi nemiche dei gusti musicali, dei giudizi, dei pregiudizi, delle classificazioni e delle idee assodate affondano una a una. E non solo le mie: testimone il lungo applauso del pubblico, animato dall'energia e dalla convinzione contagiosa di questo drappello di terroristi musicali.
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