Ebbene, oggi proverò a navigare in acque non propriamente mie. Proverò a parlarvi di un tipo di musica che non molti apprezzano, forse poco conosciuta (seppur stimatissima dalla critica) e che io personalmente adoro.

Faccio questa recensione con la massima umiltà e semplicità, in quanto sono del parere che trattare certa musica non è proprio un compito per tutti, ma dato il grande amore che provo nell'ascoltarla, ci proverò, e magari vi darò anche qualche informazione utile.

Parliamo del Minimalismo.
Il Minimalismo nasce negli anni sessanta e si contrappone alla musica d'avanguardia della scuola di Schoenberg, Webern, Berg. La musica minimalista non è infatti atonale come l'astrattismo della seconda scuola di Vienna, è anzi un processo che rende più accessibile la musica d'avanguardia stessa, basato su composizioni coerenti, ma anche sull'improvvisazione (vedremo in seguito cosa si intende).
E' musica apparentemente dissonante, ma mai priva di una melodia implicita semplicemente offuscata dalla ripetitività dei suoni. Non troveremo quindi un formato ben preciso, spesso infatti gli esecutori hanno piena libertà di scelta nella ripetizione di ciascuna fase (come nel caso di Music For 18 Musicians), oppure improvviseranno liberamente secondo il loro istinto.

I padri fondatori del Minimalismo sono i due grandissimi compositori ed improvvisatori Terry Riley e La Monte Young, il perfezionista Steve Reich e l'eclettico Philip Glass.

Tutti loro durante gli anni sessanta hanno pubblicato diversi lavori, contenenti studi ed analisi su questa nuova tipologia di musica (Riley in particolare si era già portato ampiamente avanti, basti ascoltare a Rainbow In Curved Air (1969). Ma è con gli anni settanta ed a seguire che ognuno dei quattro compositori troverà la propria strada, e perfezionerà il proprio stile.

Se Riley e Young troveranno nell'improvvisazione l'apice della loro ideologia musicale (Persian Surgery Dervishes, The Well Tuned Piano), mentre Glass esplorerà più o meno ogni campo che concerne la Classica del secolo scorso, cimentandosi tanto in svariati gioielli Minimalisti quanto talvolta allontanandosi totalmente dal concetto di Minimalismo stesso, ecco che Reich appare il più coerente e fossilizzato dei quattro.
Sarà infatti proprio Steve Reich che continuerà a lavorare su tutte le possibili strade che offre questa musica, studiando per filo e per segno tutte le proprie composizioni, rendendole sempre più meticolose e maestose.

Ed è proprio con Music For 18 Musicians che Reich matura la propria perfezione artistica.
Proprio come per la Classica ''antica'', che personalmente racchiuderei dalla musica medioevale al romanticismo, anche per la Classica del secolo scorso vi è colui che compone e colui che performa. In questa esecuzione pubblicata nel 1978 per ECM è lo stesso Reich a condurre il proprio Ensemble (roba che accadeva anche in passato, ma che per ragioni ovvie è impossibile ascoltare al giorno d'oggi).
Ebbene sì, Ensemble è la parola giusta, in quanto se le prime opere di Reich (e di tutto il Minimalismo in generale) comprendevano al massimo una manciata di musicisti, Music For 18 Musicians è anche il primo lavoro del compositore statunitense per grandi orchestre. Grandi per quanto concerne il Minimalismo, sia ben chiaro, parliamo pur sempre di, appunto, ''18 Musicians'', per l'esattezza un violoncello, un violino, due clarinetti, quattro pianoforti, tre marimba, due xilofoni, un vibrafono (che funge anche da conduttore dell'orchestra), e quattro voci femminili.

Il risultato è a dir poco stupefacente, Reich è a tutti gli effetti un innovatore alla ricerca di nuove strade musicali che qualsiasi artista, di qualsiasi genere, può tentare di percorrere.
Parliamo infatti di un lavoro universale a tutti gli effetti, ed inoltre una delle tre opere più importanti per quanto riguardo tutto il Minimalismo.

Non mi dilungherò molto sulle funzioni tecniche o teoriche dell'opera, in quanto non ne sarei in grado, vi invito semplicemente ad ascoltare.
Indubbiamente non è musica per tutti, ma se considerate che quest'uomo componeva roba del genere nei primi anni settanta, è palese come fosse di una ventina d'anni avanti rispetto al resto della concorrenza.
E pur potendo indirizzare, ripeto, qualsiasi genere, (persino il Noise Rock può passare da qua con un attento ascolto, Glenn Branca vi dice nulla?), in particolar modo mi sento di citare l'elettronica a partire dagli anni ottanta. Capisaldi dell'IDM o dell'Ambient quali Aphex Twin o Tim Hecker, sono sicuramente passati dal minimalismo di Reich e compagnia. Ma non solo loro, basti citare la celebre Baba o' Riley' (1971!) dei rockettari e ribelli Who, volutamente un omaggio alla musica colta del compositore Terry Riley. Segno che questa musica, il Minimalismo, influenza e continua a influenzare qualsiasi artista in qualsiasi campo, che sia la musica o altre forme d'arte. Musica che va oltre il concetto stesso di musica, e che probabilmente parla più di quanto si possa immaginare ad un banale primo e distratto ascolto.

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