La storia di "Dreamtime Return", super classico del tastierista californiano Steve Roach, passa anche attraverso le sue edizioni discografiche: uscito come doppio album in vinile nel 1988 (uno dei tanti doppi della sua vasta discografia), viene ripubblicato in cd con 38 minuti di musica in più: due tracce aggiuntive, una, "Looking for Safety", che passa dai 10 minuti della versione originale ai 31 di quella riveduta, e altre tracce allungate di qualche minuto.
Ma questa musica è soprattutto la cronaca interiore di più viaggi, fatti nell'arco di tre anni, dalla California all'Australia del nord, fino ad arrivare alla penisola di Cape York, la punta più settentrionale del continente australiano, terra d'origine degli Aborigeni e della loro remota e antichissima cultura.
"Dreamtime Return", due ore abbondanti di musica riposante molto più vicina all'ambient che all'elettronica di stampo europeo, è a suo modo un concept album strumentale che fa dei miti degli Aborigeni australiani la sua fonte d'ispirazione: si lascia suggestionare dal tempo dei sogni, l'epoca lontana in cui creature celesti scendono sulla terra brulla e spoglia, ne disegnano le forme e la popolano mutando se stessi in tutte le specie conosciute di piante e animali.
100mila anni di benessere e prosperità: fino a che la siccità, tra i 10 e i 20mila anni fa, segna la fine del Dreamtime. Ma gli Aborigeni non smettono di cantare i loro cicli e di praticare i loro rituali, testimoniati dai graffiti sulle pareti di roccia, così fino ad oggi è rimasto negli uomini il desiderio inconscio del ritorno a quel tempo idilliaco: Dreamtime Return.
Steve Roach mette in musica queste suggestioni con i suoi sintetizzatori, sequencer e campionatori, e con l'ausilio di quattro musicisti ospiti: ne risulta enfatizzato il suono delle percussioni tribali e del didjeridu, il tipico strumento degli Aborigeni in legno di eucalipto, considerato il più antico strumento a fiato di sempre. Non mancano i canti degli Aborigeni stessi, registrati dall'esploratore ed etnologo Percy Trezise, in evidenza nel brano "Red Twilight With The Old Ones".
Nelle note di copertina Steve Roach ringrazia un gran numero di persone che hanno ispirato questo lavoro, e che ci forniscono le coordinate per intuire di che pasta è fatto: tra essi, Harold Budd, Jon Hassell, Michael Shrieve: vi basta? Ma "Dreamtime Return" è comunque un ascolto piacevole e rilassante, un lungo viaggio sonoro graffiato da percussioni primitive (come in "Songline" o "The Ancient Day") o cullato da lente ondate di suono (in "A Circular Ceremony" o "The Other Side"): e non smette di affascinare.
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