La musica ipertecnologica di Steve Roach ha qualcosa di primordiale nel fondo: la luce abbagliante della folgore, quale la si osserva nella copertina del doppio album "World's Edge", o il richiamo alle pulsioni e alla spiritualità animistica in alcuni dei titoli qui presenti ("Beat of Desire", "When Souls Roam").

Certo è che questo lavoro, uscito nel 1992, presenta due aspetti antitetici ma rappresentativi dello stile di Roach: la miniatura e l'affresco, microcosmo e macrocosmo che si intrecciano in un abbraccio ai confini del mondo.

Il primo disco contiene dieci tracce per una durata complessiva di 66 minuti. Le tastiere atmosferiche di Roach si legano a fraseggi percussivi in loop, alle tabla (suonate per l'occasione da Guy Thouin nel brano "The Call"), al tintinnare metallico ("Steel and Bone"), alle sonorità aborigene del didgeridoo ("Thunderground"). Tutti brani che emergono lenti dal buio e dal silenzio, acquistano poco a poco fisionomia e spessore, poi svaniscono nel vuoto cosmico dal quale erano stati evocati.

L'unico appunto che si può fare a questa prima parte di "World's Edge" è il rammarico che suscita la ristrettezza delle forme, necessitando la musica di Steve Roach di ampie distensioni, di non farsi costringere dentro il vincolo opprimente di una durata di pochi minuti.

A tal scopo giunge in soccorso il secondo disco, che contiene un'unica traccia della durata di 58 minuti. "To The Threshold of Silence", questo il titolo del lunghissimo brano, offre all'ascoltatore la possibilità di immergersi in un vasto paesaggio sonoro di cui non si intravedono i confini. Anche in questo caso le tastiere di Roach (cui si aggiunge la steel guitar di Robert Rich) rovesciano nell'ambiente ondate di suono, attraversate da sibilanti striature e punteggiate da qualche scintilla luminosa. Superati i venti minuti, interviene una pausa riempita da boati cosmici fino a giungere quasi al silenzio assoluto, poi tra echi e riverberi si fa strada un soffuso drum loop e la ripresa del fraseggio già presentato in apertura, il tutto per altri venti minuti finché il brano si avvia a una lenta conclusione.

Lavoro nel complesso soddisfacente, questo "World's Edge": musica alla quale non si deve chiedere nulla ma che richiede a noi, piuttosto, abbandono e arrendevolezza. Musica che nonostante la sua estrema placidità sa creare tensione, sia per la resistenza emotiva che prova l'ascoltatore nei confronti dei repentini epiloghi nei brani della prima parte, sia per l'attesa di un evento o di uno sviluppo nel dilatato continente sonoro della seconda.

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