Bassista, compositore, produttore, nonchè figura di raffinato intellettuale, Steve Swallow può essere considerato per molti versi come l'antitesi esatta (e necessaria) al più celebrato campione del basso elettrico di tutti i tempi: Jaco Pastorius.
Jaco abbraccia il basso elettrico per una catena di eventi casuali, che lo porterà a militare nelle orchestre R&B, e poi a stringere amicizia con Herbie Hancock, Pat Metheny, e infine alla corte di Zawinul nei Weather Report. Steve sceglie di passare al basso elettrico dopo una lunga militanza come contrabbassista acustico, e avendo collaborato con nomi del jazz bianco più intellettuale quali Paul Bley, Carla Bley (della quale è anche compagno) e Jimmy Giuffre.
Jaco è stato il dirompente innovatore del basso elettrico che tutti conosciamo, fautore di un virtuosismo contagioso, supportato da una irrefrenabile inventiva, con un sound molto potente. Anche Steve è a suo modo un innovatore dello strumento, giocando però la partita sul versante opposto: grande attenzione al suono, frasi "lunghe" e languide, frequenti incursioni sulle frequenze medio-acute, una raccolta e serena cantabilità.
Sul piano compositivo il discorso si ripete: il polimorfo genio di Pastorius esprime una piena solarità, con temi come "Teen Town" oppure "Three Views Of A Secret". Swallow negli anni ci ha regalato una manciata di temi apparentemente semplici ("Falling Grace", "Hullo Bolinas"), poetici ed intriganti, ricchi di delicate sottigliezze armoniche, veicolo ideale per solisti attenti, ed infatti riproposti a più riprese da Chick Corea, Gary Burton, John Scofield.
Diabolico e meraviglioso istrione Jaco, in prima fila sempre e comunque, e per questo amatissimo dalle più diverse categorie di ascoltatori. Uomo dietro le quinte, defilato ma sapiente organizzatore di eccitanti situazioni sonore, venerato da una ristretta cerchia di appassionati, Steve.
Infine, alla totale sregolatezza e difficoltà caratteriale di Jaco, che culminerà nella sua tragica e prematura fine, fa da contraltare l'atteggiamento pacato e sottilmente autoironico che ha permesso a Steve di attraversare incolume la storia recente del Jazz.
Il suo disco d'esordio del 1980 ci mostra altrettanto bene lo Swallow compositore ed il solista. Il nostro decide di musicare nientemeno che i versi del poeta Robert Creeley, dell'avanguardia americana degli anni sessanta, periodo assai fecondo e creativo che il bassista ha vissuto in prima persona. L'atmosfera che si respira è una combinazione di vecchio e nuovo, di classico e di trasgressivo, di facile e difficile, che ben riflette il carattere del leader. Sono della partita il prodigioso sax di Dave Liebman (qui sia al tenore che al soprano), Steve Kuhn al pianoforte, Lyle Mays che in alcuni brani aggiunge un tocco discreto di synth, Bob Moses alla batteria, e Sheila Jordan che si incarica di cantare/declamare i versi del poeta. I temi sono affascinanti ed eterei, come sospesi perennemente su un filo, a rispecchiare il carattere minimale dei versi, che fotografano in modo lapidario piccoli momenti di vita quotidiana.
Tra armonizzazioni suggestive, e assoli intensi e ficcanti, tutti hanno modo di esprimersi al meglio. Dave Liebman fa valere la sua autorevolezza già dalle prime battute dell'onirico "Some Echoes", e le figurazioni quasi chitarristiche di Swallow, sostenute da serie molto articolate di accordi, risplendono in tutta la loro eleganza.
Musica di gran classe, interessante, coinvolgente. Gran bel disco, roba da fini intenditori, gente che la sa lunga. Proprio come Steve.
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