Ecco l'album di Winwood che non vi aspettavate!
E forse neppure lui, dopo aver maledetto "Arc of a Diver" per avergli dato un successo difficilmente replicabile, pensava di riuscire di nuovo a scalare le classifiche mondiali. Invece "Roll with It", uscito nel 1988, va ben oltre le più rosee aspettative vendendo oltre 3 milioni di copie e piazzando addirittura la title track al primo posto negli Stati Uniti, rinverdendo così la fama mondiale dei tempi d'oro dei suoi Traffic.
La cosa bella è che a tanto successo corrisponde un album all'altezza delle aspettative, in particolare di coloro che rimasero delusi dalla svolta solistica di Winwood ed in grado di riconciliarli alle notevoli qualità del nostro eroe, qui circondato da un plotone di grandi musicisti, di cui cercherò in seguito di ricordare qualche elemento: una scelta questa assai lontana dall'autarchico "Arc of a Diver" ed il cui risultato è fin troppo evidente.
Si parte subito alla grande con "Roll with It" un classico Rock & Roll, che più classico non si può: ritmo incalzante sottolineato dalle percussioni di Bashri Johnson e con un'ottima sezione fiati capitanata dalle incursioni del sax tenore di Andrew Love e dal trombone di Wayne Jackson, si prosegue sempre su questo livello con "Hanging on" dove spicca la batteria di John Robinson, tanto talentuoso d'aver collaborato con gente come Clapton, Mike Oldfield, Michael Jackson e compagnia bella, ma anche l'intervento delle nocchere sintetizzate dalla drum machine di Jimmy Bralower e il contraltare della voce di Tessa Niles. Dopo due pezzi di tale livello arriva ciò che non ti aspetti: "The Mornig Side" quando la calda voce di Winwodd riesce nella magia di regalarci un brano da pelle d'oca quello che una volta terminato vi fa venir voglia di rimetterlo da capito giusto per riascoltare quell'intercalare di piano piuttosto che gli attacchi del buon Robinson senz'altro degni di quelli del Phil Collins che invece di scrivere canzonette, svolgeva il suo efficace lavoro di batterista.
Batteria che non ci lascia delusi neppure nel quarto brano: "Put on Your Dancing Shoes" anzi ci pone il problema a cosa servissero le scarpe da ballo con un ritmo del genere che scivola via senza intoppi con un misurato assolo di chitarra di Paul Pesco per arrivare ad un altro piatto forte in chiara rievocazione Traffic, non foss'altro per l'hammond di Winwood sparso a piene mani e parlo dell'aplomb di "Don't You Know what the Night Can Do?" e della solita batteria di Robinson, ancora assai saliente. Ma non finisce qui, si ritorna al ritmo americaneggiante di "Hearts on Fire" dove si riaffacciano i fiati lasciati poco prima, ma sono la grinta e l'hammond di Steve che fanno la differenza. A seguire ed assai sapientemente è: "One More Morning" un'ottimo lento da intorto, giusto per riposare un po' i sensi ed apprezzare la voce nostalgica di Steve al quale evidentemente citare il mattino porta fortuna. Un album così non poteva poi che concludersi con una "brillante canzone" "Shining Son" che chiude coerentemente il cerchio coi primi due brani.
Segnalata la non entusiasmante veste grafica, voglio invece rimarcare l'ottima qualità tecnica dell'incisione che dimostra anche da questo punto di vista la maturazione di Winwood che, pur continuando a comporre tutti brani, ha compreso i notevoli limiti tecnici dell'autoprodotto "Arc of a Diver", contribuendo così a rendere degno quest'album del massimo punteggio.
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