Soderbergh torna nel 2011 con "Contagion", il primo dei due lungometraggi che il cineasta ha partorito nello scorso anno (il secondo è "Knockout" in uscita nelle sale in questi giorni). Presentato come un thriller atipico ha colpito soprattutto per il cast con nomi del calibro di Marion Cotillard, Matt Damon, Jude Law, Laurence Fishburne, Kate Winslet, Gwyneth Paltrow.
Cosa aspettarsi da una pellicola con tutti questi nomi? Semplicemente un film corale, dove nessuno è protagonista più di altri e dove tutti sono congeniali al racconto di Soderbergh. Una storia che prende spunto da una delle più grandi paure del mondo moderno: le epidemie, le malattie endemiche, quelle che si sviluppano senza motivo e che colpiscono l'umanità falcidiandola. Una paura che l'uomo si porta dietro da anni ma che soprattutto con il nuovo millennio è diventata qualcosa di diffuso. Il contagio di Soderbergh è indirizzato a comprendere i comportamenti umani. Di fronte ad una catastrofe inspiegabile come si comporta l'uomo? Di fronte alla generalizzazione del disagio cosa fa l'uomo?
"Contagion" insinua i dubbi sottaciuti del genere umano, le grandi "paure" della modernità soffermanodosi anche sui grandi organi d'informazione, dalla tv a internet (soprattutto quest'ultimo) che ormai diventati catalizzatori di notizie contribuiscono a creare un'orizzonte di incertezza in cui verità e menzogne, profetizzazione e profitto si mescolano...
Come si comporta Soderbergh in quest'esposizione di dubbi e timori? La sua è una regia precisa, visivamente accattivante e soprattutto capace di non fossilizzarsi sulla spettacolarizzazione filmica degli eventi: in "Contagion" non c'è traccia di Emmerich, ma anzi il buon Steven si affida ad uno stile documentaristico (fin troppo...) in cui si passa con disinvoltura da una situazione ad un'altra nel tentativo (a volte un po' confusionario) di delinearci tutti i contorni della vicenda.
Un film ben costruito, pensato per mostarci come l'uomo risponde alle difficoltà dell'uomo in un macrocosmo dai tratti inspiegabili, dove una malattia dai contorni indefiniti colpisce e uccide. Il potere (inteso nelle sue varie forme politiche, ma non solo...) sfrutta a suo vantaggio tutto quello che accade (splendida in questo senso la sequenza finale, in cui Soderbergh ripercorre il "day 1"). Ma nonostante nel complesso le tematiche toccate dal film siano interessanti, esse vengono analizzate con quello stile documentaristico prima ricordato che rende la visione del film non proprio scorrevole. Gli eventi assumono un carattere confusionario, come se Steven Soderbergh nel volerci dare una risposta a tutto abbia frammentato una materia filmica molto buona. Il risultato è quello di una pellicola estremamente "fredda", dove non c'è spazio per l'emozionalità.
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