Lotta alla droga. Ecco lo slogan principale di Traffic, pluripremiato agli oscar del 2001. Il film di Soderbergh narra le vicende incrociate di tre personaggi: un poliziotto messicano coinvolto suo malgrado (Benicio Del Toro), il capo dell'antidroga americano (Michael Douglas) e la discesa agli inferi della sedicenne Caroline (la debuttante Erika Christensen).

Tutti coloro che sono trafficanti o hanno a che fare con la droga sono i nemici. I nemici devono essere combattuti, devono essere sconfitti. La droga viene sviscerata da ogni suo punto di vista. Dalla prospettiva distaccata e accusatrice di chi alla sua lotta ne fa una ragione di vita. Viene mostrata in tutta la sua "importanza" nei loschi traffici messicani. Viene presentata allo spettatore con tutta la sua devastante potenza sulla giovane tossicodipendente.

L'unica certezza sono però quelle "buste" che passano la frontiera senza problemi, mentre le altre due prospettive sono alquanto incerte nella loro realizzazione. Quello che maggiormente spaventa della pellicola di Soderbergh è soprattuto la continua ed incessante ricerca della notorietà, del piacere. Il capo dell'antidroga vuole ad ogni costo vincere questa sua battaglia per dimostrare le sue capacità ai politici. Il poliziotto messicano tenta di migliorare la sua condizione lavorativa senza considerare le difficoltà delle sue azioni. La ragazza si abbandona al piacere, incurante della famiglia e di se stessa. Tutto questo ci viene mostrato attraverso un allucinato e allucinante montaggio, impreziosito da una fotografia assolutamente perfetta. Ogni qual volta la scena si svolge in Messico, tra la droga vera e propria, tutto si fà bruno, caldo, torrido, sfocato, opprimente. Nella quotidiana calma delle aule di giustizia invece, l'atmosfera è vitrea, soffusa, indefinita.

La droga rappresenta quindi l'elemento portante del film, ma di rimando, anche ciò su cui si basa la nostra società. Il suo utilizzo la rende troppo appetibile al "potere", soprattutto per i grandi ricavi che ne derivano. La dua "distruzione" è impossibile quindi per sua stessa natura.

Andando a sviscerare completamente l'opera più riuscita di Soderbergh, ci si accorge però che questo continuo e frenetico alternarsi di sequenze alla fine stanca lo spettatore che si ritrova suo malgrado anche a dover assistere ad un finale che francamente, vista l'importanza e la difficoltà dei temi trattati, non ci si aspetta di vedere. L'opera resta nel complesso però un interessante spaccato sulla realtà degli stupefacenti e sulle loro conseguenze nel nostro mondo. Una pellicola che smaschera le ipocrisie della massa, che dal canto suo non fa nulla per scacciare il problema droga dalla società.

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