Come invecchiano male certi blockbuster. Stasera Mentana non fa nessuna maratona, stranamente il lavoro mi dà una tregua e dallo zapping abbacchiato spunta l'occasione per rivedere distrattamente un film di cui è difficile nutrire grandi ricordi.

Uno si impegna anche nel tentativo di apprezzare un lavoro discretamente fedele al romanzo epocale di H. G. Wells. Ma proprio non ce la si fa. E non per una questione di rigore letterario (il romanzo non è un capolavoro in sé, ma è probabilmente il capostipite della fantascienza). No, La guerra dei mondi di Spielberg fa cagare proprio come film. E lo dico a un quarto del minutaggio.

Fa cagare perché nelle sequenze più movimentate si percepiscono nitidamente i movimenti di macchina, i carrelli avanti e indietro, le traiettorie delle comparse. Si ha ben chiaro com'è fatto il set, le pareti di cartone e i punti in cui qualcosa si dovrà rompere in automatico per assecondare la narrazione. Si vedono quasi le linee per terra che gli attori devono seguire, per quanto sono goffi e macchinosi nei movimenti.

Ma anche quando i ritmi calano, le inquadrature continuano a stuccare. Sembra un bigino (al risparmio) delle meccaniche cinematografiche messe a punto in trent'anni di carriera. Un recap esemplificativo per allievi alle prime armi, senz'anima né velleità. I movimenti, gli zoom, le panoramiche, tutto parla di un cinema funzionante ma consunto dall'uso, dal tempo, dal successo. Come le parole si logorano, così le inquadrature. E per quanto belle e funzionali, assomigliano a delle telefonate fatte con largo, eccessivo anticipo. Carrellata indietro, carrellata in avanti, dettaglio, campo e controcampo: il mestiere diventa maniera, inesorabilmente.

È uno Spielberg minore, minimo. Ammansito nello sguardo, riesce a rendere schematica pure la scena di un tripode che ribalta una nave colma di passeggeri. Per di più, le dinamiche di questo romanzo sono tutt'altro che formidabili (il bello sta altrove, vedi oltre) e quindi il vecchio Stefano riempie il fuggi fuggi dai marziani dei suoi più consunti cliché. I bambini, quei cazzo di bambini, il vecchio rancoroso (da screditare). La sequenza claustrofobico-labirintica (le cucine di Jurassic Park rifatte pari pari), la macchina ribaltata e schiacciata (come dal t-rex), la catena umana solidale, la riconciliazione familiare. Pura la beffa dei batteri che annientano i marziani viene riletta in chiave epico-provvidenziale.

Ma dicevo, il cuore dello sforzo immaginifico di H. G. Wells stava nella spremitura degli uomini, coi marziani che si fanno le pere di sangue zuccherino umano. Ecco, Spielberg la censura, mostrandola però nascondendola banalmente dietro a un ostacolo casuale. Sicuramente rispetto a certi altri figli degeneri come Indipendence Day, è una prova di buona fedeltà, ma del tutto sterile. Un disaster movie che si scopre filologico quando ormai il genere è al crepuscolo. Brutta tra l'altro la fotografia, brutti gli effetti speciali, oltre a un Tom Cruise poco significativo e una Dakota Fanning bimba volenterosa. Non emoziona nemmeno il finale coi tripodi che rovinano al suolo.

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