Quella sindrome di Peter Pan che si poteva apprezzare in film recenti come il GGG torna prepotente nel nuovo, attesissimo Ready Player One. Forse l'opera più emblematica di questa fase senile della carriera del cineasta di Cincinnati. Visivamente strabordante, dopo l'impatto iniziale si annacqua progressivamente fino a rivelarsi per quello che è: una favoletta o poco più, un'avventura da ragazzini che non riesce a trasmettere vera tensione e coinvolgimento. Un'opera di maniera, con protagonisti così bidimensionali da sembrare dei cartonati, che svela l'incapacità dell'ultimo Spielberg di dire cose realmente interessanti con il suo cinema. Di stupire, di portare contenuti.
E tutto si risolve in una lezioncina morale sulla necessità di giocare meno in Oasis e vivere la vita reale. Grazie tante, questa ci mancava. Ci sono i ragazzini buoni, quelli che amano davvero la cultura pop e i videogames, e c'è il cattivo di turno, un cinico che mira solo al guadagno. Wow. Non proprio una storia fresca e per giunta resa in modo alquanto piatto, manieristico appunto. Si ha l'impressione che il regista non sia sul pezzo, che non abbia interiorizzato davvero la vicenda e la riproponga per tessere standard, perché dopo tanti anni di cinema tutte le storie si assomigliano. È questa pigrizia narrativa di Spielberg che svilisce i suoi ultimi film; si concentra anche troppo sul lato visivo e ludico, dimenticando quasi del tutto i contenuti e le storie, i profili umani. O meglio, sono presenti, ma arrotondati, edulcorati al massimo, ridotti a macchiette, come in una visione senile che smussa tutti gli spigoli del mondo.
Non mancano certo i momenti di gustoso intrattenimento, e ci mancherebbe. La sequenza della prima corsa di automobili è magistrale, clamorosa. Ma i funambolismi alla macchina da presa con il passare dei minuti si acquietano e ciò che rimane è un intrattenimento simpatico ma privo di grandi ambizioni. Si prova godimento nella pura visione di motociclette velocissime e guizzanti, della mitica DeLorean, del Gigante di Ferro, di King Kong, Godzilla e Gundam. Sicuramente, ma è un piacere frivolo e mirato quasi solamente al pubblico nerd, che lascia davvero poco oltre al gusto del momento.
Gli spunti tematici sul futuro distopico e sulla simbiosi con una realtà virtuale sono ovviamente presenti ma trattati con fare paternalistico, agrodolce, francamente insignificante rispetto a quanto visto in ormai numerose opere di questi anni. Un libro del 2010, nel 2018 può risultare già abbondantemente superato, soprattutto quando si tratta di distopia e tecnologia. Insomma, sono gli anni di Black Mirror questi, ci vuole ben altro per impressionarci.
Resta il tributo alla cultura nerd e degli anni Ottanta, anche un po' banalmente richiamata da brani come Jump dei Van Halen e Blue Monday. Le citazioni sono davvero tante (o almeno credo); non bastano però solo quelle a dare vero spessore all'opera. Apprezzabile l'uso di uno slang specifico con termini come “killare” e “livellare”, coerente con la volontà di fare un tributo a quel tipo di cultura.
Un film che fotografa perfettamente il momento di Spielberg. Un regista sospeso fuori dal tempo, avvinghiato a una visione fanciullesca e troppo ingenuamente ludica del cinema, ormai superata. O meglio, superata nel momento in cui si vogliono fare opere d'autore, ma si fa decisamente fatica a definire tale un giocattolo come Ready Player One.
6/10
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