Le opere di Steven Spielberg fanno sempre discutere, nel bene e nel male. Non a caso viene considerato come uno dei registi più influenti dell'ultimo ventennio, un uomo di cinema che ha contribuito con le sue creazioni a sviluppare quasi un "nuovo" filone della macchina hollywoodiana: i suoi sono blockbuster autoriali, cinema caratterizzato da elementi ricorrenti e spesso tendenti alla spettacolirazzazione eccessiva. Magniloquenti lungometraggi, espressione di un modo di fare cinema che è allo stesso tempo "classico" e innovativo. Piaccia o no, ma lavori come "Lo squalo", "E.T. L'extra-terrestre" e "Jurassic Park" su tutti, hanno contribuito ad alimentare un cinema dal carattere globale ma che ha sempre cercato di mantenere delle basi strettamente legate al suo autore. Forse proprio per questa tendenza ad essere considerato un cineasta "da grande pubblico", sono state spesso archiviate le opere più "intimiste" e complesse di Spielberg: penso a "Schindler's List", "Amistad" e "Munich" (quelle che più hanno colpito il sottoscritto e che spesso vengono quasi considerate come film "minori" nella sua carriera). "War Horse" rappresenta il matrimonio tra queste due diverse istanze della filmografia spielbergiana: intrattenimento e "buonismo" da una parte, conflitti umani e sofferenza dall'altra.
Proprio nei giorni dell'uscita del nuovo e acclamatissimo "Lincoln", è interessante fare un leggero passo indietro per analizzare "War Horse", pellicola che non è riuscita a ritagliarsi lo spazio che altre uscite di Spielberg hanno saputo fare. Siamo nel periodo subito precedente lo scoppio del primo conflitto mondiale: Albert (Jeremy Irvine) è un agricoltore del profondo sud inglese. Pochi soldi, poco cibo, povertà. L'unica ragione di vita è Joey, un cavallo che Albert ha visto crescere e che è l'unico mezzo che hanno per arare la terra, specchio dell'esistenza della sua famiglia contadina. Ma come da "grande storia" il cavallo e il suo padrone devono separarsi: l'equino viene "reclutato" dall'esercito inglese, come cavalcatura per un'ufficiale. E' solo l'inizio di un "road movie" a quattro zampe...
Sono premesse da "happy" o "family" movie quelle che muovono "War Horse", oltre due ore di iper-menata sull'imprevedibilità della vita e la bontà dell'animo umano. Spielberg, forse eccessivamente dentro ad una sceneggiatura poco incisiva, non fa altro che mostrare tutta la sua maestria tecnica dietro la macchina da presa, senza mai andare oltre il superficialismo che "War Horse" ha appiccicato come un'ombra. Una banalizzazione degli eventi e delle situazioni che si esprime in modo plateale nella scena della liberazione di Joey da parte di due soldati, uno tedesco, l'altro inglese, nemici ma "amici".
Un film che punta tutto su una drammaticità mielosa, ridondante e spesso fuori luogo, andando ad inficiare le solite immagini perfette, la solita fotografia impeccabile. E' come se Spielberg si fosse guardato allo specchio e avesse deciso di far vedere a tutti quanto sia bravo, non potendo però andare oltre la sua immagine, non riuscendo ad indagare veramente i personaggi e la fase storica che fa da sfondo alla vicenda.
Poca roba.
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