Il tutto e il contrario di tutto. Il giorno e la notte. Dire cosa sia l’eclettico Steven Wilson è ormai un esercizio inutile. La sua carriera artistica è un continuo spariglio di carte e l’unico filo conduttore è l’esplorazione o lo sfidare sé stesso come autore in vari generi musicali. La tendenza si conferma anche in questo suo sesto album nel quale l’ex leader porcospino si avventura nell’elettronica, rottamando di fatto la chitarra (della quale a mio avviso è un abile interprete). Batterie elettroniche a profusione, sintetizzatori come piovesse, falsetti e coretti di voci femminili sexy e catchy a livelli inflazionistici, canzoni forzatamente brevi. Cioè, insieme, tutto quello che a me non piace. Ma i gusti son gusti e alcuni (ma magari anche molti) potrebbero apprezzare molto.

E il “problema” è proprio questo. Non è la scrittura del brano, che rimane altissima, non è il missaggio, l’equalizzazione, la qualità della registrazione che rimangono a livelli eccelsi. Il problema è lo stile dei brani, che sembrano prigionieri dello stile entro il quale Steven ha voluto forzatamente inquadrarli. Uno stile che a mio modo di vedere ne tarpa le ali, mmazza la tipica dinamica che uno si aspetta da un suo disco. Sembra sempre che il brano debba prendere una piega, che puntualmente non prende.

Episodi migliori sono “King Ghost”, “Man Of The People” (bellissima) e “Count of Unease”. "Personal Shopper", il primo brano ad essere diffuso dell'album, oltre che un po’ noioso, lo trovo un ennesimo ed inutile pistolotto contro il consumismo. Al termine dei 45 minuti del disco rimane un senso di incompiuto. Come quando mangi una pietanza senza sale.

Va bene, Mr. Wilson, anche questa l’hai fatta. Passiamo oltre, grazie? Io intanto il disco non lo compro, ma lo ascolto su spotify.

Carico i commenti...  con calma