Vabbè dai, ascoltiamolo sto nuovo album di Steven Wilson. Mi sono approcciato così, senza tanta voglia, al suo nuovo lavoro solista, essendo personalmente pienamente appagato da “Closure/Continuation” dei Porcupine Tree, uscito un anno e mezzo fa. Nemmeno mi aveva intrigato “Economies of Scale”, il primo singolo uscito che, sia per tematica sia per sonorità e stile, mi sembrava sul filone del non entusiasmante “The Future Bites”. Avevo quindi ignorato i singoli successivi, supponendo si trattasse della stessa “plasticosità” di quello che, certamente, non è il disco migliore del Porcospino solista.
Sbagliavo.
“The Harmony Codex” è un gran disco. Una delle vette della sua carriera. Tutto ruota attorno al doppio senso del titolo: Codex potrebbe essere interpretato come “antico manoscritto” o come il plurale di “codec”, alias ciò che in informatica decodifica un segnale digitale. Questa coabitazione tra antico e contemporaneo e la contrapposizione tra armonia e disarmonia è il filone musicale che unisce tutti i dieci brani dell’album, ciascuno dei quali potrebbe essere classificato in un genere musicale diverso. L’antico Codice dell’Armonia o la codificazione informatica dell’Armonia? Armonia o disarmonia?
Non c’è risposta, tutto sta insieme magicamente e magistralmente, grazie alla geniale alchimia di Wilson, che non inventa nulla, non crea nulla, ma tutto trasforma in qualcosa di stupefacente.
L’album si apre con l’ansiogena, ma anche sognante “Inclination”, costruita su una nervosa drum machine dall’incedere marziale che si contrappone alla linea melodica vocale. L’Armonia che va a braccetto con la Disarmonia. Bellissimo ed interessantissimo pezzo.
Si prosegue con “What Life Brings” e sin dalle prime note sembra di tornare a “Stupid Dream” di porcospiniana memoria. Finalmente si risente Wilson alla chitarra elettrica con un pregevole assolo. Melodia e armonia. L’Antico Manoscritto.
Che viene subito abbandonato con “Economies of Scale”, un loop campionato fa da sfondo ad un brano dominato dall’elettronica. Brano che, nel contesto del disco, ha un suo perché, che da singolo non aveva. Il Codec.
La contrapposizione è il tema di Fondo della prevalentemente strumentale “Impossible Tightrope”. Una suite di quasi undici minuti. Uno scrigno distonico contenente un magnifico solo di chitarra acustica, un solo di Theo Travis al sassofono, che evoca passati Porcospini, ed un isterico assolo di Holzman al piano elettrico completano un brano stupefacente che ondeggia dal prog al Jazz (il manoscritto) per ritornare all’elettronico (il codec).
“Rock bottom” è un Manoscritto di perfezione musicale che sconfina in area Floydiana con tanto di Gilmouriano assolo. Di codec, nemmeno l’ombra. Brano meraviglioso.
“Beautiful Scarecrow” ritorna al presente. Un presente disturbato e oscuro. Anche se il titolo è un ossimoro, il tono del pezzo è coerente con il testo tra il deluso e l’incazzato. Un codec bellissimo.
Ed ecco la titletrack, “The Harmony Codex” che ci si illude possa sciogliere l’enigma. È un brano ripetitivo costruito su un loop elettronico, le cui sonorità hanno (non tanto vaghe) reminiscenze dei vecchi videogames anni 80. Non c’è melodia vocale, visto che il testo è recitato da una voce narrante. Che sia questo il futuro della musica? Nei codec?
“Time is running out” non risponde al quesito perchè il Manoscritto e i Codec sembrano convivere in armonia. Un intro di piano acustico è subito accompagnato da loop elettronici e voci processate. Bel solo di chitarra elettrica su scala pentatonica blueseggiante, con calda tonalità jazz.
“Actual Brutal Facts”, con il suo oscuro riff di chitarra acustica, è un ritorno al Manoscritto, con rievocazioni di “Fear of a Blank Planet”. Apprezzabile il lisergico solo di chitarra elettrica (che attribuisco a Wilson stesso) perfettamente in tema con il mood ed il refrain del brano: “e quando trasformi la merda in oro non è nemmeno apprezzato”.
Il disco si chiude con la meravigliosa “Staircase”, una “summa” musicale di tutto ciò che Wilson ha fatto nel corso della sua prolifica carriera. C’è tutto: la melodia, l’armonia, gli strumenti suonati (bel solo di chitarra di Niko Tsonev), quelli campionati. C’è il rock che irrompe con un insolito solo di basso (credo suonato dallo stesso Steven Wilson). Tutto si chiude con un’armonia celestiale fatta di suoni ambient, mentre il ritmo sfuma in pioggia temporalesca, con la stessa voce narrante che legge lo stesso brano di “The Harmony Codex”, ma qui il mood della canzone conferisce al testo un tono diverso, quasi etereo, metafisico. Da brividi.
Il Manoscritto o il codec. Sta all’ascoltatore scegliere.
Quasi un capolavoro.
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