Tre anni dopo il magnifico "Live Alive" con interpretazioni al cardiopalma del repertorio dei primi tre albums, a cui vanno aggiunte le ineccepibili interpretazioni di “Willie The Wimp” e di “Superstition” (cover, quest’ultima di un successo di Stevie Wonder), il grande ritorno in studio è "In Step" (1989): quarto strabiliante album di Stevie Ray Vaughan e la Double Trouble band al completo.
Questo disco supera il milione di copie e conferisce all’artista di Dallas la consacrazione assoluta nel panorama internazionale: Stevie Ray è diventato una vera e propria «star» con un esteso consenso di pubblico (come già detto, notoriamente insolito per il blues) accanto a quello già acclamato di critica ribadito dalla vittoria di un altro Grammy come «Best Contemporary Blues Recording» per l’album in questione.
Con la solita modestia che lo contraddistingue, l’allievo diventa maestro ed impartisce una lezione moderna di blues in “Wall Of Denial”, mentre con la splendida cover di un brano di Buddy Guy dal titolo “Leave My Girl Alone” ci ricorda di essere rimasto ancora fedele agli schemi del classico blues, senza per questo rimanervi per forza e per sempre ancorato: “Crossfire” e “Tightrope” (che considero i due brani migliori dell’album) sono lì ad ammonirci. In parole semplici, pur senza rinnegare le sue radici blues, Stevie Ray vuole recintarsi uno spazio proprio indicando una possibile evoluzione verso quel Jazz-Rock altrimenti (ed impuramente, aggiungerei) definito «Fusion» (dei vari Metheny, Scofield, Di Meola per intenderci) nel quale sembra, abbastanza spudoratamente, sconfinare con il magnifico brano strumentale di chiusura di quest’ultimo lavoro in studio registrato in vita: ossia “Riviera Paradise”.
Piccola curiosità: proprio in “Riviera Paradise” Stevie Ray Vaughan utilizza una fender stratocaster che aveva chiamato “Lenny” in omaggio alla moglie da cui l’aveva ricevuta in regalo (rispetto alla versione originale, Stevie Ray aveva sostituito l’ originale manico in sottile palissandro, poco adatto alle sue grosse mani, in un acero più doppio non fender, a quanto pare, regalatogli dal grandioso chitarrista e cantante southern Billy Gibbons dei celeberrimi texani ZZ TOP). A differenza della più famosa “Number One”, “Lenny” è dotata di corde più leggere che Stevie Ray Vaughan (le cui iniziali, SRV, sono quì incise sul pickguard) suona senza plettro per ottenere, attraverso anche la combinazione con quel manico ed i pickups originali, una tonalità più vivace ed al contempo più dolce e, quindi, molto più jazz.
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