Nato a Dallas in Texas nel 1954, Stevie Ray Vaughan inizia a dialogare con la chitarra prestissimo sulla scia del fratello maggiore Jimmy ed imitando icone del blues come Lonnie Mack, Otis Rush e soprattutto Albert King.

Di fronte al talento del fratello minore, Jimmy non può esimersi dall’incoraggiarlo e, poco più tardi, in piena fase adolescenziale, lo presenta già all’amico drummer e grande compositore Doyle Bramhall che ne rimane impressionato. Al liceo Stevie ascolta Jimy Hendrix e ne rimane, a sua volta, folgorato: all’uscita di scuola, scappa di corsa a casa per esercitarsi, prima di andare a lavorare di sera al fast-food come lavapiatti. Si narra che la sua prima band, in età adolescenziale, si chiamasse Blackbirds. Insoddisfatto e decisissimo a seguire la lezione hendrixiana, non ci pensa un attimo ad accettare l’offerta del fratello maggiore che gli propone di traferirsi ad Austin dove l’interesse per il blues era più vivo.

Scelta azzeccata: quì Stevie si guadagna da vivere suonando in vari locali e, a soli diciott’anni, conosce il suo grande idolo Albert King (che tre anni dopo in un’esibizione, lo invita a salire sul palco ed a suonare con lui per quasi tutto il concerto). Negli anni ’70, la vita artistica dei due fratelli prende vie diverse: Jimmy ottiene un discreto successo con i suoi Faboulous Thunderbirds mentre «Little Stevie» (nomignolo che gli era stato affibiato nell’ambiente per distinguerlo dal fratello maggiore) diventa un blues-man conosciutissimo nella scena locale, un autentico underground-hero autore di torride live performance. I colleghi, spettatori più o meno occasionali, ne rimangono estasiati. Al pubblico sembrava risentire Hendrix, come se questi non fosse mai morto.

Dopo l’esperienza con i Nightcrawlers ed i Paul Ray & The Cobras, Stevie Ray forma i Triple Threat Revue con alla voce Lou Ann Burton. La collaborazione artistica con la cantante diviene Double Trouble (dal titolo di un celebre brano di Otis Rush), ma alla fine della decade la singer propende per la carriera solista. L’idea di Stevie è quella di mantenere il nome Double Trouble per il duo formato da Tommy Shannon (basso) e Chris Layton (batteria) a cui si unisce in pianta stabile agli inizi degli anni ’80: con la classica formula blues del trio nasce così la STEVIE RAY VAUGHAN & DOUBLE TROUBLE band. L’occasione per farsi conoscere davvero, arriva nel 1982 con un invito a suonare al Montreaux Jazz Festival. A fare il suo nome all’ organizzatore della manifestazione è addirittura il conosciutissimo Mick Jagger: il trio suona alla grande senza smentire il cantante dei Rolling Stones.

Iniziano le apparizioni di Stevie su album di artisti conosciuti: già l’anno seguente lo ritroviamo a collaborare con Johnny Copeland (in “Texas Twister”) e con Marcia Ball (in “Soulful Dress”). Presente a quel concerto, un altro artista di spessore come David Bowie lo invita a registrare tutte le parti di chitarra del nuovo album del «duca bianco»: il riuscitissimo “Let’ s Dance” (l’album più venduto nella carriera lunghissima dell’ex stella del glam-rock («Ziggy Stardust»). Si trattava di una grande occasione ma non era ancora la svolta decisiva, anche se non tarderà ad arrivare. Dopo aver ascoltato il demo inciso nello studio messo a disposizione di Stevie Ray da un altro nome di grande rispetto come Jackson Browne, anch’egli presente a Montreaux, il famosissimo John Hammond senior decide di produrre il trio: impegnato nel mastodontico “Let’s Dance Tour”, Stevie lascia il carrozzone messo su da Bowie, raggiunge i due amici per firmare il contratto con la Epic Records e registra il primo album.

Mentre campionature e sintetizzatori appaiono nella musica pop, dominandola da lì a poco, "Texas Flood" (1983) è un album che entra di diritto nella leggenda del blues-rock (blues elettrico): la classe di Vaughan è cristallina. Non a caso la più nota rivista americana del genere, quell’anno, assegna a Stevie Ray ben tre oscar come «miglior nuovo talento», «miglior album» e «miglior chitarrista blues elettrico» (premio, quest’ultimo che egli vincerà ogni anno fino al 1991). Il versante più spirituale della musica moderna, qual è appunto il blues, ha un suo nuovo, indiscutibile, guitar-hero. A partire dal suo debutto discografico, SRV dimostra subito di saper perpetuare i dettami di tutta una tradizione passata (e non quello che oggi imperversa senza trasfigurare il senso e l’originalità del (vero) Rhythm‘ n’ Blues a con il diminutivo R‘n’B: cioè tutt’ altra cosa): testimonianze assolute sono la title-track “Texas Flood”, “Mary Had A Little Lamb” e la meravigliosa strumentale “Testify” che chiude l’album.

Questo lavoro è un must nel suo genere e sarebbe inutile dilungarsi oltre: vivamente consigliato a tutti. Piccola curiosità: il tono apparentemente più brillante di brani come “Love Struck Baby” e, soprattutto, “Pride And Joy” era dovuto all’utilizzo di una stratocaster che Stevie Ray chiamò “Red” per la vernice color rosso profondo dipinta da Fender.

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