Dato che per il sottoscritto sono stati il più grande gruppo punk britannico di tutti i tempi (meglio anche dei Clash), quello che più di ogni altro ha incarnato le caratteristiche del genere, era assolutamente impensabile che mi perdessi un loro concerto sotto casa.

E’ vero che dopo il terzo album non sono stati più gli stessi, annacquandosi e rammollendosi; però dal vivo deve essere tutta un’altra cosa. Siamo in quattro, tra cui anche il de-veterano extro91, futuro hall-of-famer di DeBaser. Ad aprire le danze ci sono i Rappresaglia, band storica della scena hardcore-punk italiana, gravemente condannati da extro91 per i ritmi troppo blandi: a me sono parsi, più o meno, uno dei tanti cloni dei Ramones, quindi da “6 politico”. Scorrono brani reggae durante il soundcheck per gli Stiff e questo mi fa pensare che non sarebbe una cattiva pensata se facessero la lunga cover marleyana di “Johnny Was”, che impreziosiva il loro album d’esordio.

Salgono sul palco e attaccano con uno dei loro cavalli di battaglia, “Wasted Life”, inno antimilitarista fra i più travolgenti di sempre: il pogo è servito. I quattro nordirlandesi sono in forma, Jack Burns è il frontman genuino ed appassionato di sempre, nonostante si avvicini alla sessantina; la sua voce non è ovviamente più quella graffiante del 1979, ma non ha perso un briciolo di pathos ed espressività. Il gruppo orchestra il suo travolgente ed inconfondibile mix di punk77, power-pop, reggae/dub: ferocia, melodia e versatilità ritmica in una miscela che non disperde un briciolo di immediatezza. Il primo highlight è probabilmente “Doesn’t make it all right”, classico degli Specials, riletto dai Fingers come solo loro sanno fare: il sing-along della folla accompagna quello che resta uno dei momenti più euforici del concerto. La band ci tiene ovviamente anche a proporre brani più recenti, alcuni dall’ultimo album: colpisce il momento in cui Burns dichiara di avere composto una di queste canzoni dopo essere uscito da un lungo periodo di depressione.

Fra gli evergreen invece scorrono ovviamente, una dietro l’altra, la devastante “Suspect Device”, la filastrocca “Roots Radicals…”, la grintosa “Nobody’s Hero”, l’incontenibile “Tin Soldiers” (altro momento da brividi: “At the age of 17…”). E c’è pure spazio per “Barbed Wire Love”, la loro spiritosa love-song, dal primo album, clamorosamente sfanculata da due fans (???) che non la conoscevano (!!!) e che chiedevano di proporre qualche canzone vecchia (???!!!). Come si dice in questi casi: statevene a casa, va là.

La band esce di scena, mentre io ed altri chiediamo a squarciagola “Gotta getaway” e “Alternative Ulster”. Il buon extro91 invece opta per una più generica e disimpegnata raffica di madonne (di gioia ovviamente). Parte il bis: niente “Gotta getaway”, al suo posto l’allegrotta “At the edge”. E infine, ovviamente, “Alternative Ulster”.

Gioia immensa, delirio. Ma proprio pochi secondi dopo il “nothing for us in Belfast…”, si consuma il dramma. Da fermo (quasi), senza pogare, senza essere urtato, mi partono gli occhiali. Cadono, non so dove. Parte la ricerca spasmodica, aiutato dalla sola luce del cellulare. Intravvedo dei riflessi luminosi, ma sono solo i bicchieri di plastica lasciati cadere per terra. Mi alzo, e una tipa (con gli occhiali) mi chiede: cosa hai perso? “Gli occhiali, ostiaaaaa! Gli occhiali!!!”. La vera tragedia consiste nel fatto che l’ultima parte di “Alternative Ulster”, quando dice “They say eccetera…”, è a mio parere il momento più alto e più intenso di tutta la loro carriera. E quindi mi sono ritrovato, schizofrenicamente, a cantare quel pezzo mentre cercavo disperatamente gli occhiali. Ritrovati, intatti, giusto in tempo per il ritornello finale.

The show is over… Pubblico fantastico (niente hipsters, una volta tanto!), un mix di giovani e veterani, solo nomi e loghi di band anni 70/80 su maglie, cappelli e giacche: UK Subs, New Model Army, Siouxsie etc…Menzione speciale per una figona irlandese di almeno 1.85 metri.


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