All'interno della fortunata saga dell'hardcore italiano gli Stigmathe occupano un ruolo piuttosto marginale. Lontani dalle glorie dei mitologici protagonisti che tutti conoscono (Negazione, Raw Power, Nerorgasmo e via dicendo), ma lontani anche dal culto maniacale che i gregari come i vari Crash Box e C.C.M. si sono ritagliati in trent'anni, gruppi come gli Stigmathe appartengono alla terza fascia: i dimenticati per completisti. Molto ingiustamente, aggiungerei.
I modenesi meritavano qualcosa di più perchè avevano qualcosa di più rispetto agli altri. Una capacità di coinvolgimento maggiore, una scrittura più efficace nelle pur semplici canzoni, un suono più convincente, mettetela come vi pare. Fatto sta che, una volta ascoltati, è difficile dimenticarsi gli Stigmathe. E' stata una carriera breve la loro: nascono nel 1979, si separano nel 1986 ma fino all'83 non pubblicano nulla, una rarità nel punk del periodo. E' evidente quindi che i quattro anni di gavetta sono serviti a Fabrizio Bucciarelli, leader e voce, a farsi un'idea chiarissima della musica che voleva suonare: talmente chiara che la prima formazione non ci sta, e a fine '82 lo abbandona e lo costringe a ricreare la band da capo. Dopo il rodaggio sul palco sono finalmente pronti a incidere, e a breve distanza fanno uscire la cassetta dal vivo "Hardcore Vivo" e questo 7" EP "Suoni Puri dalla Libertà", primo atto di un dittico che si concluderà due anni dopo col gemello "Lo Sguardo Dei Morti".
Tre canzoni vengono presentate in questo primo 7", tre canzoni che settano le coordinate stilistiche di un discorso che verrà proseguito e ampliato nel, migliore, EP successivo. La base di partenza sono i Discharge, su cui vengono innestate le atmosfere e le chitarre abrasive dei Killing Joke: a completare il tutto, i testi riottosi cantati con voce potente e rabbiosa da Fabri. I primi due pezzi (la title-track e Corri e sopravvivi) sono un pugno nello stomaco: batteria d-beat, basso feroce, le suddette chitarre ispirate al dark inglese, danno la sensazione di un gruppo che va oltre la furia cieca e gli slogan iconoclasti dei colleghi; è piuttosto un hardcore epico, poderoso, su cui pesa l'influenza dei T.S.O.L. (non a caso citati esplicitamente anche nel titolo). Ma è il terzo brano, che occupa tutti il lato B, quello che colpisce inaspettato e rimane impresso: Italia Brucia è forse l'unico vero classico degli Stigmathe, un reggae bianco ispirato al punk londinese dei tardi '70, iconico nel ritornello e trascinante nella coda Oi che conferma una volta di più quanto i modenesi abbiano assimilato ogni aspetto della musica inglese del periodo.
Buona la prima: ma è col secondo 7" che gli Stigmathe mostrano davvero di cosa sono capaci; e non mancherò di recensirlo appena trovo un minuto. A risentirci!
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