Stinc. Vorrei, non ci riesco ma tanto …posso.

Stavolta il pungiglione tantrico ha voluto strafare senza badare a spese e senza farsi un minimo di esame di coscienza!

Ecco infatti questo nuovo disco “Songs from the Labyrinth” che ci sembra la classica operazione di uno che “non sa più cosa inventarsi” per cercare di racimolare consensi visto l’estro ispirativo calante contrassegnato dagli ultimi album pop (?) di scarsa levatura artistica.
E che si inventa il plurimiliardario naturalizzato toscano, tra una vendemmia nei suoi sconfinati vigneti (famoso ormai il “Rossanne” D.O.C.) e una galoppata tra le colline maremmane a cavallo del fedele purosangue Copeland?! “Ideona” sembra abbia detto lo stempiato vichingo “pubblico un disco di canzoni di John Dowland (Londra, 1563-1626) che fa mooolto cool e snob e mi faccio accompagnare da una pletora di viole, violoncelli, violette - e ci metto pure Viola Valentino ai cori!”
Aggiungendo “miiiiiiii trooOOppo fico… quasi quasi compongo un concept-album su quanto son fico… ”

Ed è così che il brizzolato Stinc ha fatto questo disco né carne né pesce che ha solo il pregio di “scontentare” i puristi di musica classica (pubblicato su etichetta Deutsche Grammophon, mica bruscolini, eh?!) e, in contemporanea, “deludere” la pletora di 50enni (femmine) in odor di menopausa che tutto farebbero per sentire almeno una volta il contrabbasso del biondo poliziotto fare un paio di slap nelle loro parti basse ormai in disuso.
(Si sà che il grosso del pubblico rock “normale” ormai lo ha abbandonato da almeno 10 anni a questa parte).

Un disco lezioso, terribilmente sussurrato tendente al moscio (come forse era nelle intenzioni originali… vallo a sapere cosa albeggia nelle menti di questi artisti!) in uno stile finto-accademico che sfiora il kitch, grazie a una voce “pastosa” e decontestualizzata che vorrebbe interpretare arie assai poco probabili e inadatte alla sua voce ormai propensa più al vecchio crooning da pianobar che a escursus nobili e colti come questo.
Un po’ come sentir cantare Nick Cave “O Mio Babbino Caro” o Bocelli cantare “Smells Like Teen Spirit”. Francamente imbarazzante, no?

L’album, e’ essenzialmente una carrellata ininterrotta di “canzoni” (Arie? Frammenti? Frattaglie? Frittelle?), intervallate da pochi pezzi strumentali (pressoché inutili se non per allungare il brodo) e da alcune brevi letture stralciate dalle lettere del povero Dowland (più dei riempitivi di poca sostanza che veri e propri brani compiuti) che si starà ancora rigirando nella tomba.

Le canzoni variano come i movimenti di una suite per aeroporto di Eno (praticamente al minimo sindacale): dalle classiche atmosfere plumbeo/malinconiche per cui l’autore originale era famoso (una delle sue composizioni più famose e’ “semper dowload sempre emule semper dolens” che, tra tante lacrime, il vecchio inglesone ci marcia pure con l’ironia, in lungo anticipo sui tempi) a spezzoni più energici e pimpanti (?!) fino anche ad accenni semi ludici/goliardici (nelle intenzioni) ma che (nella realtà) farebbero ridere solo la nonna di Fernandel o la suocera di Gino Bramieri.
Stinc sembra assolutamente spaesato in questo repertorio del tutto nuovo per le sue corde e ce lo immaginiamo sorseggiare the aromatizzato al Sandalo Sinistro mentre gongola da Vero Piacione usando tutti i timbri della sua voce duttile e piacevolmente polverosa quanto il rumore di un Worker Folletto sul Kilim della sala da pranzo a velocità 2.

Lo Stinc, purtroppo se ne fotte ampiamente di COSA stia cantando e che il genere SIA tutt’altra cosa da quello smerciato negli anni dalla sua discografia; lui va avanti indomito col suo stile mezzo rock e mezzo soul scompigliando la tecnica e facendo ruotare le arie (nate con tutt’altra intenzione, visto il periodo del Primo Barocco Inglese) attorno alla sua ugola che, per quanto benedetta e d’oro, è pur sempre un’ugola CHE NON C’ENTRA UNA CEPPA con la musica che dovrebbe interpretare.

Oh certo, ci dicono che le partiture originali sono state inalterate, e addirittura le tonalità sono state rispettate e ci sono pure accenni a leggere partiture polifoniche, come in “Can she excuse my wrongs” ma ciò non toglie che ‘sto disco sia incredibilmente noioso e ruffiano, paurosamente lento e con la puzza sotto il naso che fuoriesce già dalla confezione ultra-lusso in tetrapak-salamelecc.

Dice Stinc a sua discolpa: ''Non sono un professionista di questo repertorio (maddai?! N.d.r.) ma spero di essere riuscito a conferire a queste canzoni quella freschezza (tutto ma NON freschezza, cazzo! N. d. r. ) che forse un cantante di maggiore esperienza non avrebbe saputo portare. (che spocchia n.d.r.) Per me queste sono canzoni pop del 1600, e così le eseguo; bellissime melodie, testi fantastici e geniale accompagnamento”.

Sarà un gran paraculo ma a me questo cantante, tutto mi pare tranne quello Stinc di santo che continua ad atteggiarsi.

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