La rabbia consuma. E' un demone maledetto che ti corrode dentro, scava in profondità e ferisce con i suoi artigli avvelenati. Si nutre del suo ospite come un parassita, fino a quando è talmente grande da distruggerlo completamente. Nell'attuale civiltà moderna l'ira ci circonda e viene alimentata continuamente da quella marasma gorgogliante e vociante comunemente indicata con il generico 'gente', un ammasso informe monopensante il cui unico obiettivo è trasferire la sua frustazione su qualcuno al solo scopo di uniformarlo al proprio sistema di pensiero tranquillamente definibile con l'aggettivo 'idiozia'. Oggetto di questo attacco continuo e sistematico ci sono i folli, quei poveri mentecatti che ancora credono in valori come la libertà di pensiero, il rispetto e il tanto vituperato vivi e lascia vivere. Ancor più triste se poi questi pazzi sono anche interessati a blasfemie come musica, letteratura, arte, insomma se hanno una minima propensione alla cultura in generale. Scartati, presi per appestati tali individui subiscono le pressioni di città che sembrano respirar loro addosso, senza concedere mai un attimo ti tregua ed è proprio in questo humus che la rabbia si alimenta e cresce, un mostro da tenere a bada giorno dopo giorno con farmaci e preghiere a divinità spesso sorde. Poi c'è l'Heavy Metal, una valvola di sfogo, un veicolo verso attraverso cui dirottare quelle urla che ti sfondano la gabbia toracica e che tenere dentro costa sforzi immani e costanti. Perché siamo sinceri, possiamo dire che il Metal ci piace per la tecnica, per le atmosfere o per qualche altra cosa che ora non mi viene in mente, ma il vero motivo per cui ci massacriamo le orecchie con dischi come "City" degli Strapping Young Lad è uno solo: far urlare qualcun'altro al posto nostro! Qualcuno potrà anche mandarmi a fanculo, ma sotto sotto sapete che quello che dico è la verità. In una miscela di Death Metal, Thrash Metal e Industrial come quella proposta da Devin Townsend c'è solo rabbia, malattia mentale, emarginazione e dolore. Quelle urla ti entrano dentro perché alla fin fine sono le tue, anche tu sei perso nella città che ti stringe addosso e ti osserva come un Grande Fratello di orwelliana memoria che vuole solo vederti strisciare ai suoi piedi supplicante. Townsend costruisce un universo musicale che puzza di smog e acceca come acciaio affilato bordato di sangue: ritmiche sincopate, ora veloci ora schizzate, con pattern di batteria di un Gene Hoglan fuori controllo, un mastodonte che travolge tutto e tutti con un uso del doppio pedale mai esasperato ma fottutamente efficace e brutale. Su quest'impalcatura si muovono poi Jed Simon (chitarra) e Byron Stroud (basso), capaci di mettere insieme un muro sonoro impenetrabile. Prova a sfondarlo folla vociante di merda, provaci!!! A tutto si unisce la voce di quel maledetto di Devin Townsend, ora abravisa come la carta vetrata ora melodica e persa, che al momento di appoggiarsi sulla base di synth diviene l'emblema della disperazione messa in musica. Al buon canadese non servono scream, growl, pig squeal, inhale o altro, colpisce duro con l'onestà di quello che ti urla in faccia. Provate ad ascoltare attentamente lo stacco melodico di "Detox" o l'inquietante incidere di "Room 429" e poi mi saprete ridire: è tutto cupo ed oscuro, con qualche sprazzo di luci a neon che, dondolando da una parte all'altra come una lampadina mezza fuminata attaccata ad un filo, rendono il tutto più inquietante che mai.
Questo è il disco dei cowboy gibsoniani, di quelli che con la mente attraversano cyberspazi dalle luci iridescenti lasciandosi dietro una serie di zeri ed uno che in binario compongono un sonoro e lugubre 'vaffanculo'. Townsend e soci percorrono i binari della follia andando di volta in volta un po' da una parte e un po' dall'altra. I tappeti orchestrali messi in scena dal canadese sono tetri e spessi come un drappo nero, puzzano di fumi di scarico e hanno lo sguardo vuoto di un trip allucinato e terribile. Non c'è spazio per la luce in "City", è un lavoro che destabilizza e intimorisce, tira fuori la rabbia e la tristezza dell'ascoltatore lasciandolo alla fine tramortito e stanco. Un'esperienza terribile e allo stesso tempo affascinante, perché dinanzi al lavoro degli Strapping Young Lad non ci sono maschere che tengano: la rabbia e le lacrime escono fuori allo stesso modo, però la consapevolezza di non essere soli calma e asciuga come il contatto sulla pelle di un morbido fazzoletto di seta.
In molti dicono che l'Heavy Metal non è una musica per tutti, beh dischi come questo non fanno che confermare questa affermazione, almeno secondo me. Ora, prima di chiudere, volevo segnalarvi che nella versione di "City" che la Century Media ha pubblicato per festeggiare i suoi venticinque anni di attività come label discografica vi è, oltre ad un disco live e varie demo, un brano escluso dalla prima stampa dell'album del 1997, una canzone splendida che poco a da invidiare alle altre nove. Si chiama "Centipede", andatevela ad ascoltare.
Carico i commenti... con calma