"Infinite", un altro n-esimo (o infinito se preferite) capitolo di una storia chiamata Stratovarius, che approda nel 2000, anno che abbraccia in pieno il tema dell'album e del titolo.
Purtroppo per loro, tante cose non sono così infinite, e anche il loro power metal di stampo classico a lungo andare se non ci sono le giuste innovazioni non fa altro che darti una mazzata sulle palle e farti ricordare con nostalgia decadi decisamente più interessanti per questo genere, o forse identiche, solo che 10 anni fa la cosa suonava come nuova e ne eravamo tutti estasiati.
Fatto sta che i nostri amati (o odiati) finlandesi capitanati dall'inossidabile filo-malmsteeniano chitarrista Timo Tolkki ci propongono un lavoro condito sempre degli stessi ingredienti, che alle soglie del nuovo millennio però non hanno un gran sapore.

Batteria (che risponde a nome di quella macchina vivente di Jörg Michael) rigorosamente in doppia cassa sui ritornelli.
Assoli al limite e riff di chitarra semplici basati su 16 note (sempre la stessa) per battuta in 4/4.
Basso (Jari Kainulainen) che segue inevitabilmente i riffs di chitarra.
Tastiere (Jens Johansson) che duettano e duallano con le chitarre.
Voce altissima di Kotipelto che non fa rimpiangere tecnicamente gli altri strumenti presenti e melodie dirette ed orecchiabili.

Gruppi come questi (e ce ne sono a dozzine ormai) spesso fanno letteralmente vergognare i metaller abituati a thrash/death e quant'altro, compreso il sottoscritto, ma gli Stratovarius, forti del loro glorioso passato, ancora ancora sono passabili, e gli dai un orecchiata quando fanno un album, ma quando stanno anche loro per passare il limite della decenza bisogna dirlo. Da allora non ho più ascoltato un loro nuovo disco in quanto trovo inutile sentire le stesse cose trite e ritrite, preferisco ascoltare (per la milionesima volta) i Black Sabbath di 30 anni fa.

Quest'album ti rimane in testa, non c'è che dire, le melodie sono orecchiabili a tal punto da fischiettarle e ti rimangono in testa come qualsiasi "canzonetta".
Testi leggermente diversi dal solito, che personalmente a me non dispiacciono, nel senso che a confronto di tanta robaccia (tipo brutal/death o grindcore) almeno gli Strat (seppure con banalità) affrontano altri temi. E' chiaro che chi cerca qualcos'altro nel metal sarà disgustato da canzoni che parlano di inquinamento e di quanto sia bella la natura incontaminata.

Pochi veramente gli slanci in quest'album, si contano sulle dita di una mano, anche se non le avete tutte e cinque...
Vi segnalo, tra tutte le power-metallate presenti e l'insopportabile ballad  "Mother Gaia",  "Haunting High And Low" e "Glory Of The World" come pezzi più "duri", e la conclusiva "Celestial Dream" come pezzo melodico, che crea una bella e conclusiva atmosfera.

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