Stray è stato uno dei gruppi minori fuoriusciti da quel seminale movimento londinese di fine anni sessanta denominato British Blues, capitanato da Cream, Free, Jeff Beck Group, Rolling Stones (dopo che il bluesmen Mick Taylor aveva preso il posto dello psichedelico Brian Jones) e financo Led Zeppelin. Tenevano formazione a quattro voce/chitarra/basso/batteria, guidata dal chitarrista e principale compositore Del Bromham.
Niente di speciale il loro repertorio, un rock blues elettrico ad alto volume, lineare e caldo, striato di qualche voglia psichedelica e vagamente ispirato agli Who ed ai Free: era questa la musica heavy del tempo, erano queste le bande più rumorose, molti anni prima che la musica rock pesante arrivasse a ben altri estremi. La mancanza di una personalità spiccata e la modestia del vocalist Steve Gadd impedì loro di andare più in là di un'onesta carriera di seconda fila, foriera comunque di una decina di album.
"Mudanzas" uscì nel 1973 come quarto lavoro e forse il titolo (cambiamenti, in spagnolo) si riferisce al massiccio uso dell'orchestra, non nel senso della quantità ma piuttosto del volume: ottoni legni ed archi infatti tendono spesso e volentieri a prevaricare gli strumenti del quartetto, presenti e profondi come sono (devono essere stati registrati ad Abbey Road... la loro resa sonora è lussureggiante!).
Se a ciò si aggiunge il particolare modo di regolare il suono della chitarra elettrica del leader Bromham, facendolo galleggiare in un ambiente insolitamente vasto ed onirico grazie ad una microfonazione molto discosta dagli altoparlanti ed una profonda riverberazione, viene fuori che questo disco ha un suono tutto suo, richiamando gli "analogici" primi anni settanta come forse nessun altro. Il che è un bell'argomento per chi ne ha piene le tasche delle precise, strapresenti, vetrose ed iper compresse produzioni rock degli anni Novanta e Duemila.
Certo mancano i pezzi geniali, le idee melodiche fuori dallo standard... Un episodio pienamente convincente però ci sta, si intitola "I Believe It" ed è un ortodosso ma notevole slow blues in minore, contrappuntato dagli strombazzamenti orchestrali a tutta manetta di cui si diceva. Il cantante ce la mette tutta a recitare i suoi versi di supplica sopra un tappeto d'archi delizioso, e molto valido ed evocativo è poi il lungo solo di chitarra centrale di Bromham, che fa lavorare le valvole dell'amplificatore estraendo overtoni ed armoniche, ampi e musicali vibrati a doppia corda, insomma donando un bel valore aggiunto al brano col suo fraseggio ispirato.
Non è il disco migliore di questi "Randagi", specie per il discutibile missaggio già accennato e perché la performance del cantante, seppur col poco talento a disposizione, andava prodotta meglio. Sia la resa dei suoni che la consistenza di idee è ad esempio maggiore nel loro terzo e precedente lavoro "Saturday Morning Pictures", il quale fece parecchio parlare del gruppo senza però riuscire a farli sfondare, come d'altronde questo "Mudanzas" l'opera di questi misconosciuti rocchettari che mi sovviene più facilmente di riascoltare, essendo affezionatissimo ad "I Believe It".
Carico i commenti... con calma