We are a virus / We’re a product of bad luck / We scream our way into existence / Nine months after, someone else gets fucked”.

Lo voglio dire fin da subito, End Position, album d’esordio degli Street Sects, non è per tutti. È un album oscuro e arrabbiato, dalla prima all’ultima nota; martellante, ossessivo ed induci-emicrania, tanto nei suoni quanto nelle liriche.

È vero, abbiamo sentito spesso parole simili quando si parla di musica estrema. Numerosi artisti trovano sfogo artistico dentro al rumorismo più assoluto, ma cosa differenzia gli Street Sects dal resto?

Immaginate di ritrovarvi in una stanza piena di televisori, tanti vecchi televisori a tubo catodico, che trasmettono nient’altro che fastidiosissimo segnale statico. Al di fuori di questa stanza, il caos di dozzine di martelli pneumatici che picchiano sull’asfalto, in continuazione.

Affacciati alla finestra notate che non c’è nessuno ad impugnare i suddetti attrezzi. Funzionano da soli, come posseduti. Dove sono gli uomini? Le colonne di fumo in lontananza ve lo fanno capire subito: in guerra, contro sé stessi. Qualora foste ancora confusi sono le bombe che esplodono all’orizzonte a chiarirvi ogni dubbio. In mezzo alla catastrofe, piano piano, riconoscete altri particolari; sirene, spari e urla, urla umane di disperazione. Presi dal panico, vi chiedete cosa sia successo alla terra, cosa l’abbia trasformata in un simile inferno incolore e pregno di frastuono.

Per fortuna vi svegliate... bevete il bicchiere d'acqua sul vostro comodino, vi tranquillizzate. Era solo un incubo!

End Position, invece, è reale.

Recuperate a man bassa le scorie dei NIИ più cattivi (quelli di inizio carriera per intenderci) e degli Atari Teenage Riot più anarchici e disillusi, ed assimilate certe radiazioni di scuola power electronics, Leo Ashline (voce) e Shaun Ringsmuth (polistrumentista), tramite The Flenser, plasmano questo tremendo agglomerato di industrial, punk, ed harsh noise.

Tutto ciò però, è portato all’eccesso, nel perseguire un’affascinante estetica di terrorismo sonoro, altamente percussivo, calcolato in modo meticoloso e geniale. Mi preme usare quest’ultimo aggettivo, perché nel dare forma al rumore, i due sono estremamente capaci.

Tra vetri che si rompono, metallo che stride, caricatori che si svuotano e inquietanti campionamenti, non c’è mai pace in questa battaglia sonica, e nel tempo totale di 32 minuti, questo turbinio di sadismo volge al termine, lasciandoci, oltre ai timpani corrosi, la sensazione di aver appena ascoltato un ottimo esempio di sperimentalismo ultra-violento datato 2016.

Chi ama certo baccano (non)musicale avrà di che divertirsi; se siete curiosi e volete dargli una chance, siate pronti al peggio... l’incubo diverrà realtà.

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