Prima impressione: sembra che gli Strokes vogliano smorzare gli entusiasmi di quanto fatto finora, o almeno di quanto fatto in principio, quando erano cool e avevano dato una ventata di rinnovamento alla scena rock. Ma in fin dei conti volevate rimanere aggrappati ai fasti degli esordi assaporando la solita minestra cotta e stracotta? Gli Strokes sono ancora cool, alternativamente cool.
Alcuni punti fermi che li contraddistinguono restano immutati, come l'approccio scazzato al microfono di Julian Casablancas o la ricerca di un groove di fondo che impone il ritmo ad ogni traccia; insomma, si riconosce subito chi stiamo ascoltando, nonostante i nostri stiano elaborando una svolta, iniziata con il precedente album "Angles"; Casablancas sperimenta con la voce e l'utilizzo di sintetizzatori, che rubano la scena alle chitarre taglienti, indicano l'evidente transizione verso gli anni '80 e la disco music.
L'album, nonostante non sia di grande impatto, dopo qualche ascolto inizia ad essere interessante; si intravede un'armonia di suoni, melodie che cercano di essere seducenti tra ritmi da disco music e una voce sottile impostata sulla tonalità assonnata; così si creano atmosfere soffuse, in cui il sintetizzatore smorza la grinta rock delle chitarre, come in "Happy Ending" e in "Tap Out" o nel dream pop pendolare di "80s Comedown Machine". Il sapore è a tratti vintage, vedi "Partners In Crime" mentre nella soffusa ballatala new wave "Changes" la voce di Casablancas ha connotati celestiali. Per non darsi per dispersi arriva il singolo di compromesso "All The Time" e la puntellante e onirica "One Way Trigger"; sempre sulla stessa onda la frizzante "50/50", mentre "Welcome To Japan" è un'immersione nel funky degli anni '80; l'album termina con il canto della sirena in "Call It Fate, Call It Karma", estremamente sottomarina.
Coinvolgimento esponenziale con l'aumento degli ascolti, in attesa dell'evoluzione finale.
Carico i commenti... con calma