La mia saltuaria attività su DeBaser continua e torno su un’altra piccola gemma di thrash metal, via che ho seguito nelle ultime recensioni, così lontane da quelle innocenti e ingenue dei miei inizi. Oggi è il turno di “Planetary Destruction”, unico full-length degli statunitensi Stygian, datato 1992. Il suddetto periodo brulica spesso di dischi che vengono considerati capolavori dimenticati, a torto o a ragione, incolpando il declino del genere e l’attenzione delle labels spostatasi su death e grunge di cui non sto a parlare perché davvero è la solita storia(ccia). Questo è uno dei casi emblematici, che potrebbe riassumere decine e decine di progetti andati smarriti nel tempo: una band che nasce, lavora duramente per tre-quattro anni fino a sfornare il frutto delle proprie fatiche e poi abbandona il tutto dopo aver ricevuto scarsa approvazione. Salvo venire rivalutati, nella maggior parte dei casi e se si tratta veramente di lavori degni, molti anni dopo. Spostiamoci quindi a Chicago, e vediamo cosa sfornano questi cinque ragazzoni. Una menzione speciale per il vocalist, tale Gary Golwitzer, con un passato in un’altra band underground di valore riconosciuto come gli Wrath.
Il disco è essenzialmente figlio del suo periodo, a partire dalla copertina decisamente old-school, e non ce n’è da stupirsi: gli Stygian propongono uno stile di thrash ben lontano dagli inizi firmati Exumer, Dark Angel, Whiplash, optando per una formula più personale, meno furiosa (non troverete molti spazi in cui lesionarvi il midollo spinale durante una sessione di headbanging) ma più melodica e articolata. Questo principalmente grazie a due fattori: il già citato Golwitzer abbandona le stridule urla dei tempi degli Wrath (che devo dire non ho amato affatto) dedicandosi a un cantato più tendente al timbro simil-Chuck Billy, molto più riuscito a mio parere, e, soprattutto, le chitarre decidono di mettere su qualcosa di speciale. Bob Allen e Mike Delmore, due nomi che difficilmente direbbero qualcosa, in questi dieci pezzi sfornano una performance di assoluto spessore, tant’è che le vere attrazioni dell’album sono i vari assoli di chitarra che si susseguono in questi 45 minuti circa, anche se sarebbe un giudizio troppo riduttivo circoscrivere il valore del disco in sé a questi ultimi. Ci sono infatti pezzi di livello davvero elevato come “Cremation” o “Preacher and the Politician”, i miei preferiti: il primo ha un’intro che mi ricorda parecchio “Into the Pit”, a confermare le influenze dei Testament, ma poi si sviluppa molto bene con vari cambi di tempo fino ad arrivare al break di metà canzone, dove la coppia d’asce si esibisce un solo davvero dolce, tecnico e prolungato, probabilmente uno dei migliori momenti di tutto l’album; il secondo invece presenta un chorus estremamente azzeccato, dove Golwitzer prova a portare un po’ di melodia riuscendoci anche piuttosto bene. Eccelso anche in questo caso il lavoro delle chitarre, che fanno un po’ da leit-motiv dell’album ma delle quali è impossibile non apprezzare l’ottima fattura. Basterebbero anche solo queste due canzoni a riassumere ciò che vogliono proporre gli Stygian, ma anche il resto del disco è meritevole di un ascolto (almeno), pur seguendo tranquillamente il copione tra pezzi più tirati (la title-track, “Deadly Psychic Evil”) e altri più ragionati (la conclusiva “The Switch”), persino con una ballad (“Needful Things”) e una breve strumentale (“Environmental Suicide”). Spendendo due parole sul resto della band, è innegabile che la loro presenza sia un po’ messa in ombra dai “leader” della band: il basso di James Harris è quasi impossibile da ascoltare, mentre Dennis Lesh dietro le pelli svolge un lavoro tutto sommato elementare, a causa dei ritmi non esagerati delle canzoni, ma sa accelerare all’occorrenza regalandoci anche intermezzi di doppia cassa al momento giusto.
Riordinando i concetti, questa non è una recensione entusiastica o piena di rimpianti, non è il solito “questi tizi meritavano di più, industria musicale della minkia!!1”, anche perché le reali ragioni dello scioglimento della band mi sono ignote; giudicando a posteriori “Planetary Destruction” però ci si accorge che, pur non potendo essere considerato una pietra miliare, può essere considerato a ragione una piccola gemma dimenticata, come ho fatto io, un disco che contiene passione e grande qualità e che può risultare una valida alternativa da ascoltare se come me siete sempre in cerca di nuova musica. Non nascondo che mi sarebbe piaciuto godermi altri lavori dagli Stygian; ma forse è proprio la loro storia ciò che fa aumentare tanto il valore di questo disco.
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