Uscito nel 1990, questo “Termine del Secolo” è l’undicesimo album del quintetto dell’Illinois, dedito ad un AOR con forti tinte progressive agli inizi, con voglie di musical e di concept albums a metà carriera e poi col definitivo ammaraggio verso un AOR elegante, episodicamente notevole ma mediamente tutt’altro che indispensabile. Questo potrebbe anche essere il miglior lavoro di carriera. No, sto esagerando… ma sicuramente lo è dal punto di vista della resa sonora: suona a bomba!

C’è una faccia nuova in formazione: ha fatto le valigie uno dei padri fondatori il chitarrista, cantante e compositore Tommy Shaw ed al suo posto è stato ingaggiato un musicista assai più grintoso e immediato, meno stucchevole e scontato, a nome Glenn Burtnik. E’ lui a dare la sveglia al gruppo, assai rintronato dopo l’assurda tournée teatrale e i litigi a seguito del precedente lavoro “Kilroy Was Here”, una mappazza plasticosa assai difficile da trangugiare. Glen suona e canta diretto, senza la minima smanceria e retorica, con un timbro di voce agro ed assai poco Styx, i suoi contributi all’album sono decisivi per dare aria nuova e salutare asciuttezza alle musiche. Dei quattro pezzi da lui composti e cantati, piacciono nell’ordine l’iniziale “Love Is The Ritual”, un hard rock sincopato e a cori spiegati, poi la ipnotica canzone disco rock che intitola l’album, e ancora l’acustica ed intimista “All In A Day’s Work”.

Meno efficace invece l’ultimo contributo “World Tonite”. Il tastierista e cantante Dennis De Young, ringalluzzito dalla nuova concorrenza, si fa in quattro su “Show Me The Way” a far l’americano patriottico e timorato di dio, tanto che la canzone finisce a far da colonna sonora ad un cortometraggio di propaganda sulla Guerra del Golfo. Bella roba, ma tant’è… negli Stati Uniti è celeberrima, tronfia e ottusa com’è. Superato questo scoglio, il resto dei contributi del romantico Dennis vanno dall’eccellentissima ballata “Love At First Sight”, vertice del disco, fra le migliori del genere AOR, cantata da dio) all’onesta altra ballata “Carrie Ann”, al controproducente osanna finale alla propria città “Back To Chicago”, un pasticcio alla Queen dove domina l’enfasi e non si lesina a bordate di strumenti a fiato. C’è anche il terzo compositore e primo chitarrista in azione, il biondo quasi albino James Young che mette becco su una cover “Not Dead Yet” e poi scrive insieme a De Young e interpreta il roccaccio “Homewrecker”. Alla sezione ritmica evoluiscono ancora, per l’ultima volta insieme, i gemelli Panozzo, di lì a breve alle prese entrambi con grossi problemi di salute.

Il disco, come già detto, gode di una produzione potentissima e sonora, un plauso a Dennis De Young ed all’ingegnere del suono che l’ha coadiuvato. Non tutto rifulge anzi un paio di episodi sono quasi seccanti, ma le cose migliori di Burtnick e De Young valgono la pena di essere conosciute.

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