Ridendo e scherzando i tedeschi Subsignal sono già arrivati al sesto album. Stavolta ci hanno messo 5 anni, non c’è più il bassista storico, ma ci sono arrivati. Sembra ieri quando i Sieges Even annunciavano lo scioglimento e veniva annunciata una nuova band con il cantante e il chitarrista di quella formazione (che rimangono ad oggi gli unici sempre presenti nel nucleo).
Al giro di boa della carriera (eh ormai son 15 anni) mi aspettavo qualcosa di diverso, invece “A Poetry of Rain” non cambia più di tanto l’impalcatura sonora che li ha resi grandiosi nel prog melodico, rimangono nel loro porto sicuro e questo fa sorgere un po’ di preoccupazione sul futuro della band, il rischio che a lungo andare questa formula possa stancare si fa concreto. Ma all’interno di questo porto sicuro qualche spostamento viene effettuato eccome e non è così difficile accorgersene. La band vira infatti su territori più grigi ed autunnali, già leggendo il titolo bisognerebbe metterlo in conto, buona parte delle tracce sembrano davvero composte ispirandosi alla pioggia. Azzeccato il titolo ma azzeccatissima anche la scelta di farlo uscire a settembre inoltrato, proprio all’inizio dell’autunno astronomico (spesso coincidente anche con quello meteorologico anche se quest’anno l’estate si è protratta per una bella decade di ottobre), l’album diventa così la colonna sonora perfetta per la stagione delle piogge, delle castagne e delle foglie gialle e rosse, tutto sembra studiato ad hoc.
Pervade un senso di malinconia che rimanda alle atmosfere degli altrettanto sottovalutati Enchant, certi brani sembrano usciti da “Juggling 9 or Dropping 10”. Quando sento alcuni suoni di “Sliver (The Sheltered Garden)” mi sembra di sentire un mix fra “Elyse” e “Broken Wave”, mentre l’acustica “Impasse” con le sue regolari pennate ricorda “Black Eyes & Broken Glass”, ma anche “The Art of Giving In”, “Melencolia One” e “The Last of Its Kind” sembrano uscite da lì. Le altre tracce invece rievocano di più la luce solare ma l’impressione è sempre quella di un sole di ottobre/novembre, che batte sulle foglie secche con la rugiada a far da cornice.
Altra caratteristica che si può notare è la maggiore enfasi sulla chitarra di Markus Steffen. Le tastiere in questo disco appaiono relegate ad un ruolo più di margine, le chitarre danno l’impressione di reggersi da sole, di costruire da sole le melodie e l’impalcatura sonora. I Subsignal si differenziavano dagli ultimi Sieges Even proprio per la presenza delle tastiere, che davano quel qualcosa in più, spesso offrivano anche parti moderne ed interessanti che contribuivano ad inserire prepotentemente la formazione nell’olimpo del nuovo prog. Qui invece sembra un ritorno proprio all’approccio dei Sieges Even ultima maniera. Colpisce tuttavia la presenza di suoni di mellotron in alcune tracce, cosa che comunque non avvicina per niente la band al prog d’epoca.
Qualche elemento hard o metal in più rispetto all’album precedente c’è, continuano tuttavia a trattarsi di inserti, mai di una solida componente, l’unico album che forse poteva forzatamente accostare la band al progressive metal era “Touchstones”, comunque non tutto l’album.
Riguardo alla copertina posso dire che serviva qualcosa di più evocativo e pittoresco che rappresentasse meglio il mood dell’album, tuttavia ad accoglierci è un bel disegno geometrico che non si può affatto disprezzare.
In bilico fra tradizione e accenni di cambiamento i Subsignal si confermano ineccepibili nel campo del prog melodico. Anche se l’odore di vecchio comincia un tantino a farsi sentire, nonostante il timido tentativo di rinnovamento; negli album successivi a mio avviso un passo in avanti più deciso servirebbe.
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