Mai dare qualcosa per scontato, nella vita come in ambito musicale.
Prendete i Suede: esordio eponimo col botto, poi un secondo album, "Dog Man Star", inizialmente considerato un totale ed inequivocabile fallimento, per poi svariati anni dopo essere innalzato addirittura a capolavoro. Poi, il colpo di grazia: l'abbandono del talentuoso Bernard Butler, uno dei chitarristi britannici più apprezzati della sua generazione. Siamo nel 1994, sembra la fine del sogno di Anderson e soci. E invece no.
Passano due anni, è il 1996. Nel frattempo un gruppo di cinque fannulloni di Manchester, gli Oasis, guadagna la fama mondiale con due fulminanti lp e fa deflagrare definitivamente la "cool-britannia". Tutti sembrano essersi dimenticati di quel ragazzetto ambiguo e androgino che sfornava mega-hits al vetriolo come "Animal Nitrate" o "We Are The Pigs". Tutti sorridono all'idea che un grande talento avviato ad un probabile status di mostro sacro come Bernard Butler venga sostituito da un diciassettenne semisconosciuto come Richard Oakes. Tutti sorridono. Qualche settimana dopo, non sorride più nessuno.
Le prime avvisaglie arrivano con "Trash", singoletto apripista; il sound dei Suede è radicalmente cambiato, ha acquisito una freschezza ed un'orecchiabilità inaspettate, ed il pezzo spicca il volo, planando sulla terza tacca della British Singles Chart. Esce il disco, ed è un trionfo. Di dieci pezzi, cinque verranno estratti come singoli e centreranno tutti la top ten. Oltre all'inequivocabile successo commerciale, però, colpisce un altro aspetto: tutte le canzoni sono di altissima qualità.
La "tripletta" iniziale lascia senza fiato: "Trash", "Filmstar" (che, alternando una strofa energica ad un ritornello arioso e glam, già mostra l'abilità di Oakes nel costruire riffs alla sei corde) e "Lazy" (malinconico pezzo griffato interamente Anderson) sfoderano chitarre scintillanti, melodie avvolgenti ed un Brett in grandissima forma vocale. Circa a metà disco arriva un pezzo destinato a divenire un classico immancabile del british pop rock di metà anni '90, "Beautiful Ones". Anche negli episodi meno "in vista", la band è inspirata come non mai, vedi "She" e "Starcrazy" (quest'ultima, assieme a "The Chemistry Between Us", scritta da Anderson assieme al nuovo tastierista Neil Codling). Chiude una supermalinconica "Saturday Night", ennesima hit della band. Musicalmente, l'orientamento è quello di allinearsi ad un discorso più pop ed accessibile, mantenendo i tipici guizzi glam dei precedenti dischi. I testi parlano d'amore (la stessa "Saturday Night") e criticano lo yuppismo ("Beautiful Ones", "She"), abbandonando le visioni decadentiste dei primi due lavori in studio.
Per molti "Coming Up" è il miglior disco dei Suede, sicuramente è il loro capolavoro del tanto temuto dopo-Butler. Il mensile britannico Q l'ha comunque inserito al novantaseiesimo posto tra i cento dischi britannici più belli di sempre.
Tracce chiave: "Trash", "She", "Beautiful Ones", "Picnic By The Motorway"
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