Per ogni deathster che si rispetti il ritorno sulle scene dei Suffocation era uno degli eventi più attesi del 2004.
La band newyorkese aveva fatto perdere le proprie tracce nel 1998 con l’EP “Despise The Sun” dopo aver partorito negli anni a precedere capitoli fondamentali del genere quali “Effigy Of The Forgotten”, “Breeding The Spawn” e “Pierced From Within”.

I Suffocation hanno fatto la storia del brutal, su questo non v’è alcun dubbio.
Il loro grande merito è stato quello di far capire all’intero panorama metal che anche in un genere non certo noto per i virtuosisimi tecnici dei suoi rappresentanti era possibile coniugare brutalità e pesantezza a spaventose capacità tecniche e compositive, spianando così la strada a numerosi emuli che, negli anni successivi, solo in parte sono riusciti a raccogliere la pesante eredità di questi cinque sinistri figuri.

L’attesa era snervante e la dipartita di Doug Cerrito non ha certo contribuito a renderla più tranquilla, visto l’imprescindibile ruolo che questi da sempre ricopriva nel songwriting della band.
Molti li davano ormai per morti e sepolti, me compreso.
I dubbi spariscono non appena “Souls to Deny” inizia minaccioso a girare nel lettore.
Basta l’opener “Deceit” per mettere in chiaro le cose: il trono è ancora loro ed è il momento che i bravi bambini vadano a letto.
I Maestri sono tornati.

Pesante, cattivo, complesso; i pezzi non lasciano un attimo di respiro trasportandoci, con incessanti ed implacabili cambi di tempo, in un vortice di oscure emozioni, quelle che solo i Suffocation possono regalarci.
Guy Marchais (ex Internal Bleeding) non fa rimpiangere Cerrito. Ci pensa lui ora – insieme a Terence Hobbs - a torturare le sei corde dando sfoggio ad un riffing mastodontico, intricatissimo e allo stesso tempo felicissimo nelle soluzioni armoniche, sempre imprevedibili e stimolanti.
Il Growl di Frankie Mullen è mostruosamente efficace nell’inserirsi sulla disumana base ritmica creata da quell’implacabile schiacciasassi rappresentato dal duo Boyer–Smith.

Citare i singoli episodi sarebbe, oltre ad un’ingiustizia, una gran perdita di tempo.
Un’unica avvertenza: non scoraggiatevi dopo i primi ascolti. “Souls to Deny” non è un album facile, ci vuole tempo perché vi entri in circolo, ma non appena comincierà a scorrervi dentro sarà molto arduo toglierlo dal lettore, credetemi.

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