Sufjan Stevens ne sa una più del diavolo, ma in questo album si concede una pausa riflessiva, ricercando in temi biblici quella serenità che illumina ogni sua opera. 

In "All The Trees Of The Field Will Clap Their Hands" un banjo accompagna con un docile country una voce rassicurante, che viene incantata nel finale da un coro femminile quasi angelico. Un folk tutto casa, famiglia, chiesa e natura; in "In The Devil's Territory" le corde arpeggiano rapide e solari e il theremin rende l'atmosfera sospesa in attesa di "Sister", dove entra in campo la batteria, seppur di accompagnamento e una chitarra elettrica, raggiunta successivamente da un soave coro, la quale ci narra la storia in un lungo intro che va in crescendo fino a quando Sufjan ce la racconta a parole.

In "We Won't Need Legs To Stand" la tastiera è una scala per il paradiso e silenziosi lamenti ti spingono verso la meta, che viene raggiunta con le ultime tre canzoni. In "He Woke Me Up Again" il banjo e una tastiera chiericale invocano l'halleluja finale, come in un gospel rurale, ripreso anche in "The Transfiguration", dove un climax polistrumentale e corale ci porta, come si diceva all'inizio, ad un clap-handing emotivo. Nella traccia da cui prende nome l'album, il pianoforte scandisce un finale di canzone aulico, i cigni sono angeli e il lago Michigan è il loro ambiente naturale.

Sufjan può permettersi di dirlo: "I'll show you the sky".

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