"Seven Swans" un prezioso scrigno custodito gelosamente, un in calpestabile tappeto vellutato, una delicata distesa porporeggiante di petali di rosa, l'essenza inebriante che satura la mente con immagini di paesi così lontani, così irraggiungibili, la sua melodia è un'incarnazione di classicità ed eleganza, una storia criptata d'amore, come una carezza che colma il risveglio di mattino, nell'attesa d'imboccare una giornata bombardata d'impegni, un desiderato massaggio che smaniosamente implora "relax", per dare accoglienza a una notte pacata, sognatrice di desideri ricoperti d'oro e di mille favole incantate, basta guardare la sua copertina, il cigno, immagine alata di libertà e bellezza.

Nella storia della musica ci sono Artisti che fanno la differenza, Sufjan Stevens, nei suoi Album, né è l'esempio lucente, non mi pongo differenze nel descriverli, tutti si propongono in egual maniera, una volta ascoltati, si radicano nei sentimenti, come la spontaneità di "Greetings From Michigan" o l'eclissato "Come On Feel The Illinois" o il tepore di "Songs For Christmas" e per sommi capi, a stento si rinnegano i successivi ascolti. Songwriting che non da segni minimi di cedimento artistico o di assenti "delusioni", ma che crede in se stesso e nel suo dialogo con la gente, a honorem per ciò che ha saputo infondere.

Un uomo che dice di non considerarsi un artista cristiano, e non vuole portare questa "affiliazione religiosa" per non creare confusione o malintesi di chi lo ascolta, ma che al contrario, manifesta musica che nasce dal suo cuore e basta, anche se i testi sono a tematica religiosa, è semplicemente ciò che più sente in lui, e la musica la ritiene un mezzo di espressione in senso culturale-artistico ma non fondamentalmente religioso, e per questo motivo di vedere e sentire le cose, ovvero la sua musica, in america, i suoi Album sono diventati oggetto di discussione tematica, paragonandoli proprio alla pellicola di Mel Gibson "The Passion" dove religione-arte intersecano in maniera esplosiva e incontrollata e dove, invece, storia-arte si dissociano, anche se è palese, e sostanzialmente appurato, che la religione è sempre stato il mezzo d'ispirazione dell'arte.

Un Album che concede 45 minuti di contemplazione temporanea, che esige il più assoluto silenzio circostante, la mente ben sgombra e il corpo ben propenso a una distensione totale, dove mente, parole e suoni diventano un tuttouno, compatto, intimo, pulito e comunicativo. Questa nenia si mette in luce a dimostrazione della profonda sensibilità, di un ragazzo appassionato ai racconti di una delle più importanti scrittrici del '900, Flannery O'Connor e dalla quale ne coglie i frutti d'ispirazione.

Ci sono tracce di estrema grandezza strumentale, vocale e sporadiche impercettibili percussioni come "Sister", l'esaltazione del padroneggiante banjo, illustre e incontestato strumento primario "In The Devil's Territory", una soffice ninnananna cantilenante d'apertura "All The Trees Of The Fields Will Clap Their Hands", i ripetuti ritornelli "The Dress Looks Nice On You", un sentito duetto tra banjo e chitarra in "We Won't Need Legs To Stand", e stupendo duetto tra la voce solitaria e una semplice e "povera" chitarra in "Abraham", insomma, questa voce "solista" riesce ad arricchire tutta una serie di strumenti suonati dallo stesso Sufjan diventando essenza compiuta, ma non dimenticando tutta la conduzione familiare "Smith" per voci, strumenti, registrazione e produzione.

Sufjan Stevens, un pozzo di spensieratezza.

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