Qui bisogna stare attenti. Stiamo parlando di un mito.

O della band preferita degli Spacemen 3 (che registrarono sul retro di “Revolution” la cover di “Che” dal primo album dei Suicide e che si può ascoltare in originale nella sua magnificenza in streaming al link sotto al click).

Alan Rev e Martin Vega formati a New York nel 1971 quando New York era un fermento di avanguardie Velvet Underground, Lydia Lunch, New York Dolls, più il punk americano dei Ramones. Il duo elettronico per eccellenza. Gli inventori del duo elettronico (seguiranno nella formula senza mai avvicinarsi alla loro pericolosità e fattore di "disturbo" Soft Cell, Sparks, Orbital, più tutto il synth pop britannico) .
Gli show nei quali Vega si spaccava la faccia fino a sanguinare col microfono. Le provocazioni di fronte al pubblico punk a Londra nel 1977, e loro due sul palco, tastiere drum machine e voce. AI tempi del punk. Le rivolte.

I Suicide più che una band sono una affermazione, uno statement artistico. E non hanno registrato neanche molto in tutti questi anni, complice la instabilità della band. Noi a casa abbiamo “Half Alive”, live bellissimo e “A Way of Life”(1988). Manca il primo “Suicide” (di cui conosciamo “Rocket Usa” e “Che” in versioni degli - e con gli Spacemen) . Ultimamente sono uscite delle ristampe per la Mute e questa volta ce le procureremo; ma già il secondo album era una raccolta di vecchi nastri.

I Suicide sono pericolosi e avanguardia anche oggi: hanno sempre costruito tutte le loro canzoni su di un unico loop di sequencer sul quale la voce à la Elvis on crack, da crooner devastato, riverberata e sparata a mille nel chorus e nel delay di Vega, sempre upfront, in primo piano, in faccia, disegnava paesaggi spettrali e apocalittici.
Il nuovo lavoro non abbandona la formula, all’avanguardia oggi come 25 anni fa, ma i sound di Rev sono attualizzati, “Misery Train” sembra un loop dei Röyksopp, altrove si nota un break hip hop ed il resto è semplicemente FUCKED UP.
La genialità rivoluzionaria sta ancora oggi nel disfarsi di tutte le strutture classiche della canzone pop, intro/verse/chours/verse ed usare solo il chorus, sempre uguale, che col passare dei minuti diventa un mantra con gli “hey” e “huh” di Vega a movimentare il pezzo (“Power Au Go Go”, veramente groovy).
Forse sono da citare pure le teorie di La Monte Young, ma ve le lasciamo su google.

“Swearing to the Flag” (giurando sulla bandiera americana, quella della copertina, o bestemmiando?) è acid house, come chessò gli Shamen.
“Begging for Miracles” è un loop alla Chemical Brothers, ma come detto sopra solo quello, solo quell’unica frase ripetuta.
“Dachau, Disney, Disco” è una cacofonia di rumore bianco.

I Suicide sono indefinibili. I Suicide sono i più grandi. Ancora oggi più avanti di tutti gli altri. Culto.

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