Gli anni '80 per molti mostri sacri del rock sono stati un disastro. Pensiamo a quei cantautori (mi vengono in mente Neil Young e Joni Mitchell) che hanno provato ad adattarsi alla moda dei tempi cercando di rivestire le loro melodie di pulsazioni synth pop con risultati squallidi, oppure a David Bowie su cui non c'è nemmeno bisogno di spiegazioni.
Il malessere dell'ondata di synth ottantiani, però, non ha risparmiato neanche chi nell'elettronica aveva i piedi ben piantati dentro.Nonostante un buon album pubblicato nell'88 ("A Way Of Life"), infatti, i Suicide non sono stati risparmiati da questa crisi di identità collettiva, colpendoli con ben tre anni di ritardo. Siamo, infatti, nel 1992 quando viene pubblicato "Why Be Blue?", ma sembra di dieci anni prima. Già ad inizio anni '90 questi synth senz'anima erano ormai superati e non è un caso che questo lavoro anonimo sia stato dimenticato anche dai loro fans più sfegatati.
Sciocco dire che i tempi del debutto sono lontani (erano già lontani al secondo album), che non c'è più invenzione sonora, avanguardia o aggressività: replicare quell'album è praticamente impossibile. Una tal pietra miliare non potrà mai più essere eguagliata, né dai Suicide stessi e né da quei gruppi che vorrebbero essere loro.
Non si chiede di riscrivere una "Frankie Teardrop", una "Cheree" o una "Ghost Riders", ma quantomeno di portare avanti la propria carriera con dignità e con dischi piacevoli e ispirati (e "Second Album" e "A Way Of Life" lo erano) se non è proprio possibile il ritiro.
E invece "Why Be Blue" è un disastro e spiace dirlo, perché io sono uno di quei tanti fans sfegatati che vorrebbero dimenticarlo. Un disco che pare pubblicato solo per l'urgenza di sfruttare ancora una volta il nome memore di quegli anni d'oro ormai lontani, con dieci melodie assolutamente dimenticabili, corredi sonori che più '80s non si può, noiosi e da fondo di magazzino.
Non una canzone memorabile, non un'intuizione, non un'utilità. Non vale la pena nominare nessuno dei pezzi perché potrebbero avere benissimo dei titoli diversi tanto sono intercambiabili, banali, mediocri. Ritornelli svogliati che non sfigurerebbero in quei box nostalgici di Media Shopping, dettati da un'incapacità totale di attirare l'attenzione e di farsi riascoltare una seconda volta.
E Alan Vega non sembra nemmeno lui. Se mi dicessero che a cantare è un suo omonimo non stenterei nemmeno a crederlo. E io vorrei essere di parte, vorrei riuscire ad apprezzarlo, ma non ci riesco. Non ci riesco davvero.
"Why Be Blue" è da ricordare solo come conferma del fatto che non si esce vivi dagli anni '80 senza aver pubblicato almeno un disco di merda (almeno che tu non sia Bruce Springsteen, Kate Bush o Tom Waits, ma sono eccezioni), che l'isteria collettiva del riciclaggio, dell'adattamento e della completa dimenticanza di ciò che ha reso il proprio operato grande ha colpito un po' tutte le leggende, a breve o lungo termine.
E basta.
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