Herman il visionario.
Ti voglio raccontare una cosa di Herman che solo io so. Non la troverai scritta su nessuna delle biografie, né articoli, né interviste o altro pubblicate su di lui.
Ti voglio raccontare di quando se ne andò su Saturno.
Di come è andata veramente.
Non fu nel ’36 come, qualche volta, aveva raccontato Sun Ra. Quello era un depistaggio. Sun Ra si divertiva a raccontare mezze verità e ad intorbidare le acque.
Fu nel ’43. Nel febbraio del ’43.
Lo avevano messo dentro. In Alabama, nella prigione di Jasper. Renitente alla leva.
Herman, o meglio Sonny (come preferiva farsi chiamare), aveva provato in tutti i modi a spiegarglielo al giudice che lui, in guerra non ci poteva andare: era malato d’ernia, aveva una zia da mantenere, era molto religioso, e che se lo avessero costretto ad usare un’arma, l’avrebbe usata per uccidere quanti più ufficiali possibile. Ma – soprattutto – non poteva rinunciare alla musica. La sua musica era troppo importante.
Herman “Sonny” Poole Blount aveva una missione.
Lo sapeva, da quando era bambino. Aveva un “dono”, una luccicanza: già a 11 anni suonava e componeva. Per questo in vari modi “gli angeli dello spazio” avevano cercato di comunicare con lui.
Gli avevano fatto capire che il mondo aveva bisogno della sua musica, per non affondare nel caos. Fu questo il motivo per il quale aveva abbandonato il college e si era tuffato nella musica anima e corpo. Aveva quasi smesso di dormire, mangiare e fare qualunque altra cosa che non fosse dedicarsi alla musica.
Ma poi era scoppiata questa guerra in Europa.
Lui si rifiutò di andarci e, allora, cercarono di spedirlo in Pennsylvania per il servizio civile. Naturalmente lui non si presentò.
Il giudice lo trovò divertente ed erudito, discusse con lui di Bibbia e di Legge, affermò di non aver mai conosciuto un “negro” siffatto. Ma, poi, lo mandò in galera.
Sonny, in galera, non ci poteva stare. Stava male. Non poteva vivere senza la musica. Sentiva che i nervi stavano per cedere, sentiva che sarebbe morto. Gli altri detenuti lo odiavano. C’era questo nero enorme – Julius – che lo tormentava in tutti i modi. E poi aveva sentito che volevano abusare di lui.
Scrisse una lettera allo United States Marshals Service . Niente.
Non ce la faceva più. Stava crollando. Era a pezzi
Rifiutava il cibo. Aveva cominciato ad accarezzare l’idea del suicidio.
Fu allora che gli Angeli dello Spazio decisero di intervenire.
Vennero da Saturno (loro sono un po’ dappertutto nel Cosmo, ma Saturno è la base nel nostro sistema solare) e se lo portarono via. Lo curarono, lo rifocillarono, gli diedero un posto dove riposare, rimisero in sesto la sua anima. Poi, di comune accordo, decisero di rimandare giù sulla Terra, Sun Ra al suo posto.
Nessuno si accorse dello scambio.
Nessuno guarda “veramente” gli altri.
Sun Ra ci mise poco a mettere le cose a posto. Lui sapeva come fare.
Sapeva che, tra gli stupidi, quelli che amano indossare una divisa sono i più stupidi di tutti.
Prima si fece mandare in Pennsylvania, poi ottenne il permesso di suonare il pianoforte dopo il lavoro coatto, ed infine convinse la commissione esaminatrice di essere completamente pazzo.
“Personalità psicopatica e pervertito sessuale” ma “stranamente erudito ed intelligente” sentenziarono gli psichiatri. E lo congedarono.
Sun Ra tornò a Birmingham da zia Ida, come sapeva avrebbe voluto Sonny. Aspettò che morisse e se ne partì per Chicago. Suonò prima, per un po’, con un certo Wynonie Harris, poi andò a cercare Fletcher Henderson.
Fletcher era “uno dei loro”. Sun Ra lo sapeva, gli Angeli dello Spazio lo seguivano da tempo. Fletcher aveva bisogno di una mano, le cose non gli andavano bene: lo stavano dimenticando, i postumi di un incidente d’auto lo limitavano ancora e Marl Young se ne era andato. Sun Ra lo aiutò. Arrangiò i suoi pezzi, stette un po’ con lui.
Poi andò a cercare gli altri.
E mise su l’Arkestra. Cambiò anche nome in Le Sony’r Ra, perché tutto fosse chiaro e perché Herman Poole Blount era un nome da schiavo.
Con l’Arkestra era un po’ come essere di nuovo su Saturno. Era come tornare a casa.
Poi vennero centinaia di dischi, incredibili concerti, incontri, musica, viaggi, strani vestiti, strani strumenti, strani spettacoli. L’Arkestra si spostò ancora a New York e poi a Filadelfia. Andarono anche in Egitto.
Nessuno aveva mai visto, né ascoltato, niente di simile.
E poi c’era la sua filosofia. L’”equazione”, come lui la chiamava. Ma nessuno la ha mai, veramente, capita.
E ci sarebbero tante storie da raccontare e tanta musica di cui parlare.
Ma, queste storie se vuoi, le trovi sul libro di John F. Szwed (“Space is the Place” la migliore biografia scritta su di lui) o sugli articoli, le recensioni, gli scritti, le interviste che puoi trovare un po’ dappertutto . E poi ci sono le sue poesie e la sua musica che puoi ascoltare su tanti di quei dischi che, a stento, una vita ti basterebbe.
Perché Sun Ra era generoso. Era un Angelo dello Spazio. Ed aveva una missione: indicarci una via con la sua musica. E, quella musica, ce l’ha donata senza risparmiarsi. E ci ha insegnato che le percussioni sono le armi della rivolta e che l’Africa è la nostra Madre.
Musica che è un labirinto. Puoi avvicinarla da dove ti pare e perderti, perché ti perderai comunque.
Io ti suggerisco di cominciare da “Cosmic Tones for Mental Therapy”.
Non è uno dei suoi più famosi. Non è tra quelli preferiti dalla critica. Ma, per me, è perfetto per cercare di capire la sua musica. E’ stato inciso nel ’63 ma pubblicato solo nel ’67. Julian Cope dice che è come se Syd Barrett suonasse il sax su “Electronic Meditation”. In effetti, la critica, lo considera il primo disco psichedelico mai inciso; se lo ascolti capisci perché gente come i Grateful Dead o gli Mc5 stravedevano per lui.
Però attento: non cercare di ascoltarlo con le orecchie pigre. Non scambiarlo per un baccanale free jazz, qui di free non c’è proprio niente, è tutto organizzato, scritto, pianificato. E’ musica astratta, spegni il cervello, lasciati andare.
Su Saturno la gravità è più di 90 volte quella terrestre ed ogni anno dura 29 dei nostri. Lì bisogna imparare la leggerezza e dimenticare il tempo. Alto e basso non hanno alcun senso nello Spazio.
E poi attento: la musica di Saturno ti potrebbe rapire.
Sun Ra si scocciò della Terra nel 1993. Aveva fatto abbastanza, non gli si poteva chiedere di più.
Così lasciò l’Arkestra e la sua missione nella mani di Marshall Allen, e se ne tornò su Saturno.
Ogni tanto si vede con Sonny, bevono qualcosa e parlano della Terra. Sun Ra gli racconta di quella volta che lo invitarono a parlare a Berkeley o di quando suonò un intero concerto usando solo i pugni ed i gomiti, oppure di quando spiegava ai giornalisti che lui non poteva fare sesso perché era un angelo dello Spazio.
Che facce che facevano!
E ridono. Ridono.
Ora, tu mi chiederai come faccio a sapere queste cose?
Me le ha raccontate Sonny.
Lì su Saturno.
Ci sono stato. Ci sono stato anche io.
Le notti, su Saturno, sono ubriache di stelle.
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