Perdonatemi ancora, ma in questo periodo ho voglia di scrivere su Mathias Lodmalm. Del resto, quando si dispone di una collezione di migliaia di cd che copre più di vent'anni di ascolti, capita talvolta di scoperchiare cassetti che era meglio tener chiusi.

Fra questi cassetti ce n'è uno in cui tengo un paio di polverosi cd dei Sundown, che – vedo – non sono presenti nell'onnipotente databaser. Provvediamo quindi a colmare la lacuna.

I Sundown, per la cronaca, sono un progetto nato nel 1997 dalle menti di Mathias Lodmalm (ex Cemetary) e Johnny Hagel (ex Tiamat). Il primo, che aveva sbattuto la porta in faccia a Quorton ed alla sua Black Mark Productions, riconverte le ultime composizioni scritte per la sua band, per poi riproporle sotto un'altra ragione sociale, alla faccia dell'infame etichetta che a spregio aveva pubblicato una manciata di brani ancora non ultimati spacciandoli per l'ultimo album dei Cemetary (il bruttino “Last Confessions”); il secondo, semplicemente, se ne sorte dai Tiamat appena dopo l'uscita del memorabile “Wildhoney”. Evidentemente una solida comunione d'intenti (o più probabilmente le contingenze) ha indotto le strade dei due ad incrociarsi, ma chi si aspetta un ibrido fra le band madri rimarrà deluso: “Design 19”, opera prima dei Sundown, pur ascrivibile al filone gothic/metal in voga in quegli anni, amplifica la propensione alla dark-wave degli anni ottanta (Sisters of Mercy e Fields of Nephilim su tutti). Pezzi semplici e lineari, quindi, strofa/ritornello ed un livello di ispirazione non eccelso, fatto sta che “Design 19” non esalta e Hagel se ne va.

Ma il caparbio Lodmalm sembra credere nel progetto ed oramai solo al timone del vascello decide di dare alle stampe nel 1999 l'atto secondo dell'epopea Sundown, il “Glitter” di cui oggi vorrei parlarvi, e che mi pare un pelino più godibile del suo predecessore, anche se non è che l'opera in questione meriti di essere iscritta negli annali della musica da tramandare ai posteri.

Forte di una line-up rinnovata, Lodmalm abbandona la chitarra per dedicarsi interamente programmi e campionamenti, e non è un caso che la componente elettronica venga in questo episodio a ricoprire un ruolo di primo piano, seppur chitarra, basso e batteria siano ancora ben presenti.

Cosa quindi ci combina a questo giro il buon Mathias Lodmalm? I suoi Cemetary, soprattutto nelle ultime pubblicazioni, avevano brillato di un'attitudine easy-listening che certo aveva reso accettabile la proposta, se per lo meno ci si ferma all'opera più significativa da essi partorita, quel “Sundown” che non a caso presterà il nome al nuovo progetto; caratteristica, quella dell'orecchiabilità, poi enfatizzata nell'esordio dei Sundown stessi. Su questi solchi, “Glimmer” progredisce ulteriormente sul fronte della bastardizzazione, abbracciando stilemi tanto cari ad industrial act come Nine Inch Nails, Ministry e White Zombie che certamente godevano all'epoca di una grande visibilità anche in territori più propriamente metal. Non mancheranno influenze mutuate dall'operato del tanto vituperato Marilyin Manson, che – potrete dire quello che vi pare – sempre in quegli anni era comunque riuscito a sfornare lavori degni di nota, capaci di deviare il corso di molte band fino a poco tempo prima dedite all'ortodossia metallica.


Se una descrizione del genere a molti potrà far rizzare i peli del culo, posso addurre comunque due motivazioni affinché voi lettori possiate dare una chance di ascolto all'opera qui recensita.

  1. Al di là della simpatia che il sottoscritto nutre per un personaggio come Lodmalm, c'è da dire che anche in questa veste modernistica il Nostro è in grado di mantenere un approccio assai personale che, se non è proprio ascrivibile alla categoria “originalità”, almeno è circoscrivibile in quello della “simpatica variazione sul tema”: Lodmalm infatti rimane l'autore della musica che da sempre ama propinare: ha un suo stile, o meglio, una sua sensibilità autoriale, che permane oltre la scorza della novità, che rimane riconoscibile nonostante le varie forme che il suo messaggio ha assunto nel tempo. Nasce dal gothic/death, Lodmalm, e a questi dettami rimane fedele, pur in una versione cyber-punk. Del resto ha spinto ulteriormente avanti la medesima tendenza che in quegli anni anche altri illustri suoi colleghi (Paradise Lost, Tiamat, Moonspell ecc.) hanno subito: l'amore per il pezzo catchy e radiofonico, il cedimento verso strutture lineari e melodie di facile presa, a scapito della complessità affrontata durante la gavetta. E non facendolo peggio di altri.

  2. Infatti Lodmalm, che certo non è un genio dell'elettronica, dimostra comunque una certa padronanza nel destreggiare quei maledetti macchinari, e poi capiamoci, Lodmalm non è mica Fennesz, rimane uno scemo cresciuto a pane e metal, pertanto i suoi alambicchi elettronici rimangono pur sempre tesi a creare un groove che, prima ancora che farsi danzereccio tout-court, supporta un'energia ancora tipicamente rock.


Per capire “Glimmer”, pertanto, c'è un po' da sintonizzarsi sulle frequenze di quegli anni: anni in cui l'elettronica aveva un forte appeal su molte formazioni che con l'elettronica niente avevano a che fare. Da qui l'influenza globale di mr Reznor che, come pochi altri, ha saputo trasformare in qualcosa di popolare la musica industriale, rendendola familiare anche a quei bifolconi dei metallari. E Lodmalm, in questo, non è peggio di altri.

A Lodmalm, purtroppo, manca lo smalto dei grandi, e si sente nel song-writing, sospeso fra quell'approccio personale di cui parlavo sopra (ma che rimane comunque una scrittura di serie B) e la volontà di schierarsi in favore di soluzioni orecchiabili che rendono l'ascolto nonostante tutto scorrevole e a tratti persino piacevole. Come per esempio è piacevole l'opener “Lifetime”, divisa fra ritmi spezzati, chitarre spigolose ed un ritornello che esplode liberatorio, che vince anche se porta con sé quel senso di “clamore generazionale” in voga all'epoca (quel clamore che ha fatto la fortuna di molte formazioni nu-metal del tempo, fra cui è impossibile non pensare ai Deftones e ai loro ritornelloni à la Simon Le Bon). In questo contesto Lodmalm punta quasi interamente a vocalità pulite e sensuali, sfruttando al meglio le sue limitate capacità, aiutato da effetti di ogni sorta e prodigo di sussurri che evocano il Reverendo più morboso (mi si perdoni l'espressione). Sensualità che richiamano anche il Ville Valo degli Him, altro elemento per meglio comprendere la svolta stilistica di Lodmalm nei suoi Sundown targati 1999 (paradigmatico a tal riguardo lo pseudo hittone “Halo”, che nel suo incedere sembra voler anticipare i Katatonia di “Viva Emptiness”), anche se poi Lodmalm a volte torna a fare la voce grossa, come accade puntualmente nella travolgente “Stab”, il pezzo più violento dell'album.

Herman Ergstrom, del resto, si difende bene alle sei corde, infarcendo il sound ruffiano dei Sundown con riff rocciosi e belli quadrati, anche se poi la violenza dei Ramstein è ancora lontana (ed è tutto dire). Solide le basi ritmiche ammaestrate da Chris Silver, diviso fra batteria acustica e sintetica, chiamato a rinvigorire i pattern elettronici ben allestiti da Lodmalm.

Insomma, al di là della regia di Lodmalm, che lascia comunque la sua impronta, non è che questo “Glimmer” sia un monumento all'originalità, assimilando una sequela di luoghi comuni che di certo non rende il suo ascolto un qualcosa di imprescindibile. Ma se non siete fra quelli che pensano che in questa recensione sia stata elencata la peggiore musica degli anni novanta; se siete invece fra quelli che hanno apprezzato album come “One Second” dei Paradise Lost o “Skeleton Skeletron” dei Tiamat; se – di nascosto – neppure disdegnate certe cose di Manson, Him e Ramstein; se, infine, siete degli inguaribili nostalgici di certe sonorità e magari siete pure stati (in un'altra vita) fan dei Cemetary (forse questo è davvero troppo), non vedo il perché non possiate dare una possibilità anche a questo lavoro.

Why not?

 

P.s. Dopo l'uscita di questo album Lodmalm deciderà mestamente di sciogliere i Sundown e di tornarsene con la coda fra le gambe al metallo dei Cemetary (ribattezzati per l'occasione Cemetary 1213), caso mai si possa raccattare qualche spicciolo dai fan di vecchia data....

Nel suo squallore, un eroe.

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