L'impresa paradossale dei Sunn O))) è quella di aver sovvertito il comune concetto di estremo. Tale concetto, di fatto, soprattutto in ambito metal, si usa far coincidere con la velocità di esecuzione, cosa che, evidentemente, non vale per i nostri, che ricercano e trovano il concetto di estremo agli antipodi di tutto ciò, ossia nella staticità più assoluta.
Post doom, avant metal, power ambient, trance drones music, definiteli come diavolo vi pare, la sostanza rimane che ci troviamo innanzi a qualcosa di veramente annichilente, tanto che sorge il dubbio che non si tratti d'altro di una sonora presa in giro. Dubbio, del resto, che sorge tutte le volte che ci troviamo innanzi a mostruosità immani in grado di spostare in avanti i confini dell'estremo. Basti ricordare le reazioni di sdegno e di scherno che seguirono l'uscita del seminale "Scum" dei Napalm Death.
L'idea dei chitarristi Anderson e O' Malley è quella di estremizzare all'inverosimile l'intuizione degli Earth, cioè quella di isolare e dilatare all'inverosimile i riff funerei dei Black Sabbath, spogliandoli della batteria, della voce e del formato canzone. Quello che ne viene fuori è un viaggio nell'angoscia e nella disperazione più nere, un lento rituale scandito dal passo elefantesco dei monotoni ed ossessivi giri di chitarra, che si trascinano solitari per decine e decine di minuti, fino a stemperarsi e collassare definitivamente nel fastidioso ronzio di una catarsi ambientale. Un autentico saggio volto ad indagare il vuoto, il senso dell'abisso, scritto con il linguaggio micidiale degli insostenibili muri di chitarra e dei funerei fiumi di feedback. Una musica estraniante ed eccessiva, capace di acquisire connotati metafisici, proprio perché in grado di mettere in discussione i concetti di spazio e di tempo.
Con il passar degli anni, diciamolo liberamente, il giochino Sunn O))) si è rivelato però nella sua disarmante semplicità. Gettate le basi del loro sound con il monolitico "Zero Zero Void" (peraltro riproponendo quanto già detto dagli Earth nel seminale "Earth 2", che consiglio vivamente), i nostri trovano un post al loro esordio ricorrendo prima allo sperimentalismo noise di Merzbow ("The Flight of the Behemoth"), poi alle mistiche narrazioni di Julian Cope ("White 1"), infine alle visioni apocalittiche del grande Attila Csihar ("White 2").
Con questo "Black One" si ricorre alle gelide atmosfere del black norvegese, e qualsiasi sarà la direzione che in futuro si vorrà intraprendere (non ho ancora avuto il dispiacere di ascoltare l'ultimissimo "Altar", uscito in questi giorni), Anderson e O' Malley non avranno che da buttare giù due riff e scegliere l'ospite che farà la differenza. Gli abbinamenti fra il loro doom senza batteria (denominazione brutale ma efficace) e la sovrastruttura di volta in volta scelta, sono di fatto potenzialmente infinite e si prestano a molteplici iter evolutivi: dal jazz alla musica classica, dall'etnica all'elettronica al liscio, alla mazurca e chi più ne ha più ne metta.
Non sono quindi dei geni questi Sunn O))), non hanno inventato proprio niente e se ci pensate bene sono anche dei furbetti. Ma il loro lavoro deve essere giudicato per quello che è, ossia un processo di trasfigurazione di altri generi, un lavorare sul lavorato altrui, un atto che ha lo stesso significato che può avere prendere un barile pieno di melma nera e rovesciarlo su un pulcino. E proprio per la loro intransigenza, per il loro rigore e per il loro essere pacchiani ed eccessivi in tutto e per tutto che ci piacciono tanto. Non si capisce per quale insano motivo, ma è così. Che ci possiamo fare se siamo dei deficienti masochisti?
Come si diceva, "Black One" suona come un palese tributo al black metal norvegese, e con esso i nostri si prefissano di elevare l'intensità tipica di questo genere alla dimensione astratta della drones music. Con risultati, c'è da dire, per niente inferiori, in quanto ad intransigenza e malvagità, a quelli dei loro colleghi pestoni. Si tratta del lavoro più oscuro dei nostri, ma non dobbiamo spaventarci oltremodo, poiché paradossalmente, vuoi per la durata dei brani, che viene generalmente a ridimensionarsi, vuoi per l'elemento vocale, più presente che in passato, l'ascolto guadagna in varietà e scorrevolezza (se è opportuno parlare di varietà e scorrevolezza in un contesto di questo genere).
Ci sono anche delle novità e delle piacevoli sorprese. "It Took the Night to Believe", per esempio, ospita un giro zanzaroso in perfetto stile norvegese, mentre più avanti c'imbatteremo nella irriconoscibile cover di "Cursed Realms (of the Winterdemons)" degli Immortal (da "Battles in the North"), che sotto il trattamento Sunn O))) diviene dieci minuti di grida disperate, sciabordate di chitarra ed insano rumorismo. Con "Candle Goat", invece, si va a scomodare Dead in persona, riesumando la strofa iniziale di "Freezing Moon". Ma a mio parere, gli episodi migliori sono quelli in cui i Sunn O))) decidono di fare i Sunn O))), come in "Ortodox Caveman" e "Cry for the Weeper", macigni di nero doom senza compromessi.
Ad animare il tutto le voci gracchianti e disturbate di Wrest e di Malefic (degli Xasthur), che nella conclusiva ed intensa "Bathory Erzsébet" (un qualcosa che si avvicina molto ai lavori di Burzum - un Burzum in acido, ad esser precisi) si fa addirittura rinchiudere in una bara (questo è quel che si narra) per dare al tutto un tocco di claustrofobia in più. Come se ce ne fosse bisogno. . .
Certo, ce n'è di frustrazione nell'ascolto, ogni tanto vien da pensare "eh cazzo, datemi un quattro quarti!", ma questo quattro quarti, si sa già, non partirà mai, e forse è proprio questo il bello dei Sunn O))): se partisse quel maledetto quattro quarti, in un certo qual modo saremmo anche più appagati, ma al tempo stesso ci sentiremmo tristi, poiché avremmo la consapevolezza di ritrovarci di fronte a niente di più che ad una dozzinale doom band. Per questo non ci resta che rassegnarci al nostro destino e dare retta a quello che ci suggerisce il retro di copertina, ossia alzare il volume al massimo. Solo così, stordendo i nostri neuroni, saremo in grado di trascendere il reale e raggiungere la felicità.
Amen.
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