Ed eccomi di nuovo qui, a parlare nuovamente dei Sunn O))); con il solito entusiasmo che provoca in me ogni loro uscita discografica.

Monoliths & Dimensions, questo il titolo di questo loro ultimo parto, ottavo sigillo oscuro per la precisione, va ad eclissare completamente tutto ciò che è stato fatto in passato dal cosidetto filone drone-doom ma anche da loro stessi con gli album precedenti.

M&D è il loro capolavoro, e parto così, in quarta per non destare inspiegabili fraintendimenti; è il loro punto più alto, il suggello finale di un'evoluzione senza pari in un genere che non dà spiragli, nè appigli (il drone appunto).

Andiamo allora a scandagliare l'album pezzo dopo pezzo:

AGHARTHA (17:34): forse è il brano più propriamente Sunn dell'intero lotto, il brano che mantiene stretto un legame con quel passato chiamato black one, dove droni di chitarra imperterriti disegnano scenari di desolazione infinita e scurissima, dove all'incirca verso il quinto minuto, entra la voce del solito Attila (possiamo chiamarlo il terzo membro ufficiale?), ad invocare qualcosa che non andrebbe detto, penetrante com'è, forte di un timbro sommesso ma ficcante, quasi una declamazione poetica su di un tappeto sonoro che pian piano si sgretola, andando dal muro impenetrabile iniziale a piccoli accenni di violini stridenti, viole urlanti, trombe impazzite, fino a spegnersi, lasciando che sia la sola voce a chiudere questi primi 17 minuti di orgia rumorista.

BIG CHURCH (9:43): un coro femminile sopravanza (l'uso di quest'ultimo mi ha ricordato non poco quello usato nella celeberrima quanto splendida atom heart mother dei maestri Pink Floyd), istintivo quasi liberatorio, crescendo con bellissimi giochi armonici e melodici, fin quando le chitarre non arrivano a spezzare questo stato di calma colma d'ansia, ancora droni, chitarre roboanti e cupissime; rientra il coro, ed è un'estasi spirituale difficile da spiegare a parole, mentre sotto a sprazzi Attila, in sottofondo, ci fa gelare il sangue (ed è proprio in questo pezzo che il legame con il precedente esperimento live Domkirke si fa sentire in tutto il suo splendore).

HUNTING & GATHERING (10:02): un disturbo, un giro di chitarra accennato, che rimanda a certo black metal (come fu black one a suo tempo), fino a sopravanzare in primo piano, maestoso e possente, su cui Csihar si inoltra con urla sommesse e vocalizzi quasi gregoriani, mentre tutto sale e la maestosità raggiunge l'apice all'entrata del coro maschile con successivo inserto di fiati che fermano il tempo senza smuoverlo, splendido è dir poco; e così, in saliscendi emotivi primi di stallo, dove tutto è veramente al suo posto, mentre l'angoscia si fa sentire tangibile.

ALICE (16:21): tutto si ferma, muta pelle, rimanendo legato a tutto il resto del disco, l'atmosfera si fa ancor più nera, il vuoto si fa sentire sotto ai piedi; fiati, archi, chitarre, tastiere, ad accennare melodie infinite sopra un mare di gelida malinconia; ed è proprio qui che la sensazione jazz avanza prepotente in una forma che non può che rimandare a certo Coltrane o Davis (ed è lo stesso O'Malley a dichiarare quanto questi artisti abbiano influito sulla lavorazione di questo lavoro e su tutto il percorso ormai decennale dei suoi Sunn). Qui dentro vi sento anche molta dodecafonica, in particolare qualcosa delle costruzioni/destrutturazioni armoniche alla Stockhausen/Schoemberg, soprattutto dove da metà pezzo in poi le chitarre scompaiono quasi del tutto per lasciar spazio a tutta la magnificenza dell'orchestra impiegata in questo lavoro (bellissima la conclusione, dove un trombone disegna il finale in punta di piedi), non sembrano nemmeno loro.

Ed è qui che finisce il viaggio; un viaggio meditativo e splendido, emozionante e forse anche meno opprimente di tutta la loro discografia, più facile se mi passate il termine.

Hanno dato alle stampe il loro capolavoro come detto, e da adesso sarà difficile tornare indietro o anche andare avanti, chissà cosa ci riserveranno in futuro è la domanda che sopraggiunge dopo aver per bene assimilato questo abbagliante lavoro.

Quasi dimenticavo, oltre ai cori, femminili e maschili e all'orchestra sono di questa partita diversi e importanti special guest: Steve Moore e Dylan Carlson degli Earth, Oren Ambarchi, Eyving Kang (già con loro ai tempi dello split con i Boris, Altar), Rex Ritter e molti altri a far capire quanto l'importanza di cui godono questo duo è cosa tutt'altro che trascurabile ai giorni nostri.

Ovviamente non per tutti, armatevi di tantissima pazienza, con i Sunn O))) è veramente e fondamentalmente necessaria; buon ascolto.

Carico i commenti...  con calma