Quando si parla dei Sunny Day Real Estate, si parla di una delle band, se non LA band, più sottovalutate degli anni '90. L'accuratissimo manuale sul Grunge di Eddy Cilia li etichetta come uno scarto amorfo del rock di Seattle.. Eh già, perchè i nostri erano prodotti niente meno che dalla Sub Pop di Nirvana e Soundgarden. La guida sull'indie rock americano di Rossano Lo Mele di Rumore invece ne parla nei termini di un gruppo minore, il cui primo disco, Diary, è degno di nota "più per la grafica che per la musica inclusa"... insomma, a leggere le pagine di più di un giornalista nostrano sembrerebbe avere a che fare con dei negletti totali.

Su una cosa però tutti concordano, anche se nessuno sembra considerarlo un gran pregio: i Sunny Day Real Estate sono stati i padrini di quel genere/corrente ormai diffusissimo che passa sotto il nome di Emo. Allora viene da chiedersi: che forse fossero troppo in avanti con i tempi per essere degnamente compresi? Magari è un'esagerazione... Però una cosa è sicura: nell'anno 1995, nessuno suonava il rock come loro lo suonavano in questo disco: i primi ad aver avuto l'intuizione di unire le violente dinamicizzazioni del Punk alla malinconia di diretta matrice New Wave inglese, in senso inverso: cioè suonavano New Wave come potrebbe suonarla un americano, e Punk come potrebbe suonarlo un inglese; detto in altri termini: minima pretenziosità, ma massima complessità nell' architettare il brano. E in effetti non stiamo semplicemente parlando di un disco, come già detto, dall'indubbio valore storico, visto le decine e decine di band che ne hanno saccheggiato le idee a man bassa; stiamo anche parlando di una band dallo stile unico, che distorgeva sistematicamente a livello strutturale e arrangiativo brani melodicissimi, contorcendoli e complicandoli; sentire per credere brani come "Iscarabaid" o la splendida ballad "5/4" (il titolo riprende l'irregolare tempo in cui è composta), dove niente prosegue come inizia, e tutto si perde e devia. E sotto questa destrutturazione, la voce dolente del cantante Jeremy Enigk, e le chitarre ora arpeggiate ora acide e decise di Dan Hoerner. Un piccolo capolavoro.

E d'altronde una ragione ci sarà, se addirittura i Mars Volta li segnalano come una delle loro maggiori fonti d'ispirazione, per, testuali parole, "la capacità fuori dal comune di movimentare un pò il gioco, rendendo imprevedibili le strutture di brani dal forte contenuto melodico ed emozionale"...

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