Nei beati anni settanta delle Controcanzonissime e dei festival alternativi, si faceva una distinzione drastica tra musica commerciale e musica impegnata. Considerando la prima come il peggio che potesse finire in un disco e la seconda come il meglio. Questo comportava il curioso ribaltamento per cui la musica che vendeva faceva necessariamente schifo e quella che non vendeva era "per forza" buona (come se non fosse possibile che ci fosse musica che nessuno comprava semplicemente perché brutta). Era una convinzione su cui si è appoggiata la critica pop (e di conseguenza i lettori) per diversi anni. E mentre venivano osannate alcune ciofeche assolute che potevano gloriarsi solo del fatto di aver venduto 10 copie, altri eccellenti album furono mal giudicati semplicemente perché macchiatisi della colpa di aver venduto molto: "Dark Side Of The Moon", ad esempio: anche se all'album fu imputato il "tradimento" di molti dei presupposti floydiani dell'epoca-Barrett, sicuramente il fatto di aver venduto milioni di copie aggravò la sua situazione …
La cosa durò per un pezzo, poi le distinzioni assolute tra musica commerciale e musica impegnata si vennero affievolendo e, contestualmente, si iniziò a pensare che poteva essere possibile fare canzoni in grado di dominare le classifiche, ma anche di ottimo livello qualitativo. Una spinta decisiva in questa direzione la diede un album della seconda metà del decennio che rappresenta, assieme a "Thriller" di Michael Jackson, al citato "Dark Side" e a pochi altri, la sintesi perfetta fra commercialmente e artisticamente valido: "Breakfast in America" dei Supertramp. Supertramp che, innanzitutto, non potevano vantare nessuna credibilità in ambito rock. Nati solo grazie ai corposi finanziamenti di un fan miliardario, per almeno un decennio avevano collezionato dischi invenduti e concerti schivati dal pubblico come la peste, poi improvvisamente eccoli in testa alle classifiche con il quarto album ("Crime Of The Century") e un paio di singoli ("Dreamer", "Bloody Well Right"). Il tutto liquidato come "robaccia commerciale" dalla critica militante. Ma qualcosa si stava muovendo: quando nel '77 uscì "Breakfast", la faccenda non potè essere liquidata semplicemente facendo spallucce e mettendo sul piatto i Popol Vuh: il disco vendette a milioni, ma, accidenti, che grandi canzoni conteneva!
Raramente in un album si erano sentite tante idee e tanto buone: alla fine bisognò ammetterlo: "The Logical Song", "Take The Long Way Home", "Goodbye Stranger" e le altre riuscivano a condensare in maniera perfetta certo rock pomposo made in USA (ma senza eccedere mai) e certo pop britannico e brillante, il tutto in una chiave vagamente progressive che tendeva a dilatare i brani e a dare spazio agli strumenti… roba veramente buona: ascoltatela ora, funziona ancora! Ma sono equilibri difficili da trovare, questi, e impossibili da mantenere: nè Rick Davies e Roger Hodgson riuscirono nell'impresa. Realizzare un solo album a questo livello doveva bastare alle loro carriere: se ne consolarono guardando il conto in banca e pensando a quanti colleghi un'impresa del genere non sarebbe riuscita in tutta la vita.
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