Per la categoria Dischi per dormire, Even in the quietest moments dei Supertramp si aggiudica in scioltezza la mia personalissima Palma d’oro, argento e bronzo.
Avrete passato anche voi un periodo dell’adolescenza in cui non dormi la notte, e in compenso ti alzi al mattino con un impellente desiderio di suicidio. A me è capitato verso i primi anni ottanta ed in quel periodo mi è stato d’aiuto quel glorioso canale radio nazionale, RAISTEREONOTTE, che mi accompagnò in molte nottate bianche, con una programmazione musicale lasciata all’estro ed alla libertà dei conduttori.
Quando non interveniva la radio, chiaro che mi rifugiavo in qualche vinile, scelto appositamente per la carica soporifera. E devo dire che questo disco dei Supertramp svolgeva il suo compito alla grande. Che poi non ricordo manco il motivo per cui venne in mio possesso, forse me lo rifilò un amico in cambio della composizione di una serenata da sottobalcone per romantica pulzella.
Even in the quietest moments era uscito anni prima, nel ‘77, ma tra la marmaglia che frequentavo se ne parlava solo a causa del celebre e successivo Breakfast in America. Della serie uh, guarda che strana musica facevano questi anni fa. Prog rock, tentavano di etichettarla quelli che se ne intendevano. Io non me ne intendevo e continuo a non intendermene, però le dormite che mi son fatto grazie a questi pezzi…
Del resto considerate anche solo la copertina del disco, con quel piano sommerso dalla neve e lo sfondo montano, cime imbiancate, i pini, aria pura e rarefatta, manca solo Heidi che sbuca da dietro l’albero a intonare uno jodel con i cuginetti. Tutto congiura per il relax e keep calm.
Roger Hodgson ha quindi eseguito perfettamente il suo lavoro promorfeico, in particolare con pezzi come Babaji e Fool’s Overture. Voce da angioletto caduto in terra, atmosfere soffuse ed educate composizioni melodiche. E la composizione Even in the quietest moments pare una preghiera dolente rivolta al suo dio.
Ho letto che Hodgson, prima di comporre questi pezzi, era andato in India, folgorato sulla via delle divinità Indù. Strano tipo di inglese, Hodgson, certo diverso dalla stragrande maggioranza dei suoi conterranei che per quanto educatissimi e gentilissimi rimpiangono l’Impero, hanno votato la Brexit convinti di ritornare automaticamente alle Colonie di Sua Fottutissima Maestà e considerano il resto della popolazione mondiale al rango di paria, figuriamoci i loro ex dominii indiani.
Comunque gli ha detto bene, a Hodgson, a dedicarsi alla divinità Babaji, ripetendone il nome nel ritornello. Secondo un santone, ogni volta che un devoto pronuncia con reverenza il nome Babaji, attira istantaneamente su di sé una benedizione spirituale. Occorre riconoscere che la benedizione arrivata sulla testa di Hodgson è stata bella tosta, considerato che due anni dopo sarebbe uscito con il successo planetario di Breakfast in America. State già ripetendo?
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