Quella sensazione, proprio quella. Ponetevi dentro un bar, piccolo e accogliente, siete seduti comodi su un divanetto e state bevendo qualcosa di caldo, un thè, una cioccolata, quello che preferite, guardate la strada attraverso l’ampia vetrata e vedete gente nel freddo, nella pioggia, affannata, che corre, s’affretta verso la morte mentre voi siete lì con tutto il tempo del mondo, a godervi un solco di pace così limpido e profondo che potreste essere fra le braccia di Morfeo come fra quelle dell’arcangelo Gabriele col medesimo sorriso ebete stampato in faccia senza avvertirne la differenza.

4 pezzi di candido power-pop ispirato, contagioso, confortevole. Con questo ep c’è da convincersi dell’attrazione che esercita la musica dei Surfer Blood, come se vedessi una ragazza fulgida, di quel carino candido che pensi farci l’amore ti volgarizzerebbe, come strappare petali ad un fiore, per finire con lo scoprire ch’è di una perversione persa.
Più pacatezza dai vicini tempi del debutto, non c’è più il marasma dei feedback, hanno abbassato i distorsori e parzialmente poggiato le tavole da surf per andare in tour con i Pixies. E si sente cribbio, “Miranda” c’è da scommettere che riempia d’orgoglio quel santo buddha di Francis Black. “I’m Not Ready” fa storia a sé, viene fuori dal nulla, senza un ritornello e neppure una strofa, con giri sensuali in overdrive e la voce di un John Paul Pitts pienamente cosciente di sé. Se “Voyager Reprise” ha un garbo poprock da mtv “Drinking Problem” si lancia divertita nell’elettronica intimista cambiando un’altra volta pelle alla band.

Mentre me ne sto qui a pensare se tutta questa melodia sia un bene o un male i quattro di West Palm Beach salutano la Kanine per approdare alla Universal, mentre sento quella sensazione, li sorseggio, sorseggio un talento che cresce e non sembra arrestarsi.

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