Gli anni Ottanta: simbolo dei capelli cotonati, della felicità, dello sviluppo economico, del crollo del comunismo cattivo e barbuto e inizio del consumismo. Siete proprio sicuri che tutti fossero così alienati nella felicità? Non credo. C'erano tanti che erano alienati nell'infelicità, o meglio, semplicemente alienati. Quello che nel 1984 girava nei pensieri prima di addormentarsi ad un Michael Gira non lo sappiamo. Lo possiamo immaginare, che è ancora più interessante e gratificante. Bene o male i Sonic Youth avevano già fatto intendere il concetto "noise" e i simpatici Pere Ubu avevano generato una mandria di folli geni come Albini con i Big Black e l'anarchia dei Minutemen. Tutti progetti validissimi, originalissimi, che non facevano rimpiangere, almeno da un punto di vista produttivo, gli anni Settanta.

Troviamo l'industrial che stava per arrivare a un punto di non ritorno. La fertilità iniziale stava diminuendo, la qualità stava abbassandosi e si iniziava a sfornare scialbi prodotti intrisi di un techno-synth pop di poco valore. Basta pensare ai Cabaret Voltaire che, a parte il seminale "The Mix Up", avevano abbassato la guardia, effettuando ritmiche fine a sè stesse. Oppure ai PIL post "Metal Box" sempre più convenzionali. Realtà come Flaming Lips, Swans, Sonic Youth e Jesus Lizard rialzano un pò la qualità dei dischi della scena noise-punkhardcore. Si riesce a delinare connotazioni differenti in ogni gruppo e si dà vita alla seconda metà degli anni Ottanta con un nuovo brio.

Il concetto "dark" è alimentato da Virgin Prunes, Bauhaus e Killing Joke. Su questo ambient si accingono a presentarsi gli Swans, dediti a un rapporto masochista con strumentazione e melodia. Il primo lavoro disarmante, con l'invitante copertina, apre le porte a questo secondo disco, "Cop". Siamo nel 1984 e la concezione di Gira & Co. è quella di addentrarsi in un "black hole", in un muro di suono al buio, generando oppressione e vulnerabilità a chi è l'ascoltatore. Il dolore, il male fisico e la riflessione su tutte le sfaccettuature della morte sono tematiche care a poeti di molti secoli fa. E nella fine del Novecento, oltre a scrivere versi su un foglio, si ha la possibilità di dare voce a quelle parole con l'anima di un cantante e le corde di uno strumento. E' molto teatrale il tutto e si fa perno sulla mattanza sonora per far calare il sipario e far chiudere gli occhi a chi si addentra in tali rumorismi. Un vero concerto per dissonanze, martellamenti, frustate e sottomissione.

L'incedere declamatorio di Gira è debitore di "The End" e di "We Will Fall". Un vero giudice che sentenzia i malesseri insieme ai suoi oscuri menestrelli. Il ritmo dell'iniziale "Half Life" si butta a peso morto sulla melodia, il tempo in 2/2 diventa il punto cardine del sound e si simboleggia l'oppressione moderna della società. La batteria è un macchinario malvagio che sputa frustate su rullante e piatti. Ci si deve approcciare a tale genere riuscendo a concentrarsi sul lavoro del singolo strumento e ipnotizzandosi sull'estetica del puro suono. Le litanie della successiva "Why Hide" e il noise di "Job" ci mostrano il lato oscuro che ognuno di noi possiede. Basta solo farsi cullare da Gira per scoprire l'esistenza di anche un piccolissimo fastidio interiore che attanaglia la nostra personalità. Si gioca e si cerca di trovare l'effetto shock. Il rullante in "Clay Man" e in "Your Property" assume sempre più le sembianze della ferocia di una morsa. Non si sente più la pelle del tamburo, ma è come se fosse un martello che schiaccia un chiodo. Subumani, disadattati, gente improponibile?! Semplicemente un altro modo per creare arte, che non concede riflessioni o silenzio a chi ascolta. Ci si deve sottomettere o felicemente farsi invadere.

Il tormento e la ferocia di ogni singolo pezzo, specialmente la titletrack, supera perfino l'arrembaggio dei Black Flag, Bitch Magnet e Minor Threat. Si ha una sevizia del suono, un cantato che passa dai toni enfatici di una visione mistica alla più nera desolazione mai riprodotta in disco. Altro che il delirio alcolico di Beefheart..ma non mi divinizzate Manson, per favore. Anche perchè la carriera della band non è contraddistina solo dall'impatto sonora. Se è vero, come dice Morgan, che nella vita ci sono tre fasi per comprendere le cose, gli Swans hanno effettuato tre periodi. Il primo, dissacratorio, che comprende pure i due lavori successivi a "Cop", ovvero i tonanti "Greed" e "Holy Money" con anche gli iniziali lied pianistici. Poi la maturazione nel capolavoro "Children Of God" e la terza fase più riflessiva di "White Light From The Mouth Of Infinity".

Chi compone questi pezzi è consapevole al massimo dell'atrocità del vivere e non si rassegna a bloccare i pensieri negativi e a non vedere ciò che tormenta. Gira e gli Swans devastano il concetto rock di quattro accordi, riff e ritornello urlato. Non è cosi semplice, non è tutto ossessivamente legato a scopi commerciali, a moda, borchie e maglietta nera. Qui c'è la rappresentazione della mente dell'artista e dei suoi fantasmi, senza filtri e costrizioni. Si è liberi di vivere (!?)

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