Suonerà strano dirsi oggi ma c'è stato un periodo nel quale i confini in ambito rock, segnatamente in quello più o meno duro, la contaminazione tra generi era una eventualità mal digerita se non vissuta come un'onta per chi avesse tentato di porla in pratica.
Questa era la regola tra i (cosiddetti) sottogeneri all'interno della medesima macro-categoria.
Alla metà del penultimo decennio dello scorso secolo e i primi anni di quello che avrebbe chiuso il millennio le separazioni a comparti stagni subiscono un inarrestabile processo di sgretolamento.
Una inattesa, forse insperata, salvifica apertura verso mondi paralleli contigui ma mai concretamente frequentati: la conseguenza fu una autentica esplosione sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.
Non che prima non ci fossero stati tentativi di commistione, solo che in quella fase vi fu una vera e propria implo-esplosione: in gran parte aiutata e spinta dagli stessi media - all'epoca qualche rivista di nicchia e poco più - del settore.
Il rock/metal contemporaneo, per come lo si era inteso fino ad allora, muta forma assumendo le sembianze di qualcosa di forse non sempre nuovo, ma sicuramente di diverso;
frutto della mescolanza, banalmente, tra menti diverse.
Nel giro di breve tempo prolifera a macchia d'olio il (famigerato) crossover: al cui interno ci si poteva scovare veramente tanto e di più.
Questo ha significato anche l'avvento di tanti furbacchioni e imbucati vari, autori di memorabili abominii.
Ma non poteva essere diversamente: fa parte della natura stessa dell'uomo.
Tutto stò pedante preambolo per dire che tra i mille-e-uno progetti, ensemble, gruppi, outfit e sigle che vennero fuori da quel ribollente calderone c'è (stato) questo pregevole quintetto del New Jersey, il quale ha sulla gobba solamente questo disco in studio del 1992 e poche altre frattaglie.
Tra le mie spuntate grinfie custodisco gelosamente l'ormai incartapecorita versione in musicassetta (originale, ça va sans dire): una autentica reliquia, al cui cospetto l'ampolla contenente il sangue di San Gennaro è acqua fresca.
"Sweet Lizard Illtet" vede la luce diversi mesi prima rispetto ad un altro eponimo debutto molto più noto e, per certi versi, giustamente idolatrato; quello della Rabbia Contro La Macchina di Tom Morello. Con il quale i punti di contatto risultano, sia concettualmente che stilisticamente, tutt'altro che trascurabili.
Rispetto al quartetto di Los Angeles l'Illtet la butta [molto] meno in politica adottando stilisticamente una formula crossoverista decisamente più ampia e stratificata: forse meno immediata e fulminante ma non certo meno intrigante.
Molta (davvero tanta) libertà espressiva e un registro compositivo decisamente notevole e ben al di sopra dei tanti loro contemporanei.
Un suono rock totale denso, fluido, con un bel basso ultra-slappato come si usava all'epoca, innervato da potenti iniezioni funk, rap e electro-dub: oltretutto sia la registrazione che la produzione risultano una assoluta sciccheria visto che venne pubblicato da un autentico colosso come la WarnerBros.
Siccome ho già tediato a sufficienza, beccatevi l'indirizzo Bandcamp nel quale il disco oggi è scaricab(arilab)ile del tutto gratuitamente, giusto perchè possiate personalmente farvi un'idea di quanto le spari grosse.
As usual.
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